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Mo Harawe: «La Somalia sarebbe un paradiso, ma la vita viene decisa altrove»

Mo Harawe: «La Somalia sarebbe un paradiso, ma la vita viene decisa altrove»Una scena da «The Village Next to Paradise»

Cannes 77 Intervista con il regista somalo, il suo lungometraggio d'esordio "The Village Next to Paradise" sarà presentato a Un certain regard. La vita di una famiglia si intreccia a fenomeni più grandi come i droni killer inviati per uccidere presunti terroristi

Pubblicato 6 mesi faEdizione del 15 maggio 2024
Mo Harawe

«La Somalia ha il potenziale per essere un paradiso: un grande territorio, poche persone, il mare, la collocazione geografica, le tradizioni. Ma tutti i conflitti causati da fattori interni e esterni non lo rendono possibile. Per questo ho intitolato il film The Village Next to Paradise». Così Mo Harawe, regista somalo classe 1992, parla del suo lungometraggio d’esordio che sarà presentato a Cannes nella sezione Un certain regard. Il festival continua ad essere una piattaforma importante per il cinema africano: lo scorso anno era stata la volta del primo film sudanese sulla Croisette (Goodbye Julia di Mohamed Kordofani), stavolta è atteso anche un lavoro dallo Zambia, On becoming a Guinea Fowl di Rungano Nyoni. Il film di Harawe, girato in Somalia, è fortemente radicato nel territorio: la vita di una famiglia composta da padre, sorella e figlio si intreccia a fenomeni nazionali come i droni killer inviati da altri Paesi in cerca di presunti terroristi, la pesca illegale, l’abuso della droga khat e, su tutti, l’endemica povertà . «Il film però non è triste, perché i personaggi non vedono se stessi come vittime, e nonostante debbano affrontare molti problemi non si arrendono, non hanno tempo per l’autocommiserazione. Potremmo dire che le loro vite sono senza speranza, ma proprio per questo, forse, prendono tutto così come viene, anche con un certo humour. Ho scelto poi di non inserire la tipica colonna sonora che sottolinea le emozioni, ma delle canzoni potenti, felici, che in un certo senso lavorano nella direzione contraria» spiega Harawe, che abbiamo incontrato su Zoom subito prima dell’inizio del festival.

Ha lavorato molto sull’eleganza della forma e sul ritmo del film, che chiede allo spettatore di entrare in un altro spazio-tempo per avvicinarsi ai personaggi.

Penso che lo spazio e il tempo siano molto importanti per il cinema in generale e nello specifico per me: vorrei che il pubblico abbandonasse il proprio mondo per entrare in un altro, per «sentire» la vita di questa famiglia. Non avevo un piano preciso nella scrittura, ho provato a indagare le motivazioni di ogni personaggio e le circostanze in cui si trovava prendendo spunto da diverse persone che conosco e avvenimenti accaduti in Somalia. I protagonisti tra loro hanno in comune il fatto di essere lì per gli altri, anche se in modo diverso – il padre finisce nei guai per il suo essere altruista e non pensare mai alle conseguenze, mentre la sorella ha sempre un piano, sa quello che vuole. Il vento, poi, è un vero e proprio personaggio: ho voluto girare nel periodo dell’anno in cui è molto forte, affinché fosse parte del film e della sua geografia.

Lei vive in Austria ormai da diversi anni, com’è stato tornare nella sua terra per filmare?

Ho passato lì molto tempo perché prima di questo lungometraggio ho girato anche due corti. Ho affrontato diverse sfide durante le riprese, che ho portato avanti con un team solo africano. In Somalia non c’è una vera e propria scena cinematografica, anche se negli ultimi anni si stanno girando show televisivi o programmi per lo streaming. I registi somali, o della diaspora, stanno provando a cambiare le cose pian piano e a realizzare dei film, come The Gravedigger’s Wife di Khadar Ayderus Ahmed presentato tre anni fa. Speriamo ce ne saranno di più in futuro.

Il tema dei droni è importante per capire il contesto somalo, può spiegarlo?

Certo. Il film si apre con un telegiornale per far capire al pubblico, soprattutto quello occidentale, qual è la prospettiva abituale sulla Somalia. Ogni giorno si sentono o si leggono notizie, ed è come se i Paesi di cui si parla fossero pure statistiche, luoghi senza esseri umani. Una persona uccisa da un drone sembra quasi intrattenimento. Ci sono molti aspetti della vita lì che vengono decisi in altre parti del mondo, le scelte quotidiane vengono condizionate da questi fattori che provengono da fuori.

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