La partita è tutta in salita ma Elisabetta Trenta ha deciso di provarci lo stesso. Al vertice informale dei ministri della Difesa che si apre oggi a Vienna la ministra presenterà ai colleghi europei una proposta di modifica del piano operativo della missione Sophia, con l’obiettivo di trovare una risposta definitiva alla questione che più sta a cuore all’Italia, vale a dire quella dei porti nei quali sbarcare i migranti salvati nel Mediterraneo. Porti che, stando alle regole ereditate dalla precedente missione europea Triton, oggi possono essere solo quelli italiani.

La soluzione studiata si basa su tre punti. Il primo riguarda la possibilità di avviare una rotazione dei porti europei nei quali effettuare gli sbarchi in modo che, spiegano fonti della Difesa, «non sia più solo l’Italia a farsi carico del problema, bensì anche gli altri Stati membri». Al principio della rotazione si abbina, ovviamente, quello della ripartizione in Europa dei migranti. Il meccanismo, inoltre, riguarderebbe tutte le aree Sar (ricerca e salvataggio), a prescindere dalla zona geografica in cui avvengono i soccorsi. Non si tratta di una sottolineatura secondaria.

Fino a oggi infatti Malta, che ha un’area Sar molto ampia, ha giustificato il rifiuto di accogliere migranti con il fatto che l’isola di Lampedusa è più vicina geograficamente al luogo in cui sono intervenute le navi della missione europea. Infine, terzo e ultimo punto, è prevista l’istituzione di un’Unità di coordinamento gestita da Frontex che avrà il compito di assegnare il porto sicuro al Paese competente. Di fatto si tratta di quella cabina di regia di cui si era parlato al vertice dei capi di Stato e di governo di giugno. Per l’Italia dovrebbe avere sede a Catania e dovrebbe essere composta da un rappresentante di ogni Stato membro che partecipa al meccanismo.

Va detto che i tentativi messi in atto finora dal governo giallo verde di coinvolgere l’Europa negli sbarchi sono tutti falliti. In parte perché la solidarietà tra gli Stati è ormai fatta più di parole che di gesti concreti. Ma anche perché a Bruxelles hanno dimostrato di non dare molto peso ai continui ricatti del ministro degli Interni Matteo Salvini che ha più volte minacciato di ritirare l’Italia dalla missione se le richieste italiane non vengono accolte. L’ultima è stata due giorni fa al temine dell’incontro con il premier ungherese Viktor Orbán, quando ha ripetuto che «se non cambiano le regole, di una missione così potremmo e potremo fare a meno».

Le minacce del titolare del Viminale non sono però l’unico né il principale ostacolo ad eventuali modifiche. Il mandato della missione Sophia, che oltre ai trafficanti di uomini si occupa anche del contrasto al traffico di armi e di petrolio, scade ufficialmente alla fine di dicembre e finora i partner europei hanno sempre detto di essere disposti a rivedere il piano operativo solo in sede di ridiscussione generale della missione. Chiaramente è solo un modo per prendere tempo. Dietro le resistenze europee c’è infatti anche il timore che un eventuale via libera all’apertura dei porti europei – e quindi l’instaurazione di un principio di condivisione dei migranti – possa rappresentare un precedente pericoloso per il futuro, magari quando – ammesso che ci si arrivi – si ridiscuterà il regolamento di Dublino.

La questione dei porti non è comunque l’unica della quale i ministri dovranno discutere a Vienna. Sul tavolo c’è infatti anche la proposta austriaca di coinvolgere gli eserciti nazionali in aiuto all’agenzia Frontex. Nel documento preparato dal ministro Mario Kunasek si propone che i militari vengano utilizzati in compiti riguardanti la logistica, il trasporto, le ricognizioni e, in casi particolari, anche in operazioni di controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea.