In soli venti giorni è cambiato tutto. Era il 6 ottobre quando il vertice informale dei leader europei si chiudeva a Granada senza un accordo sull’immigrazione e mostrando anzi tutte le divisioni che ancora esistono tra i 27 sull’argomento. Per l’Italia e la premier Giorgia Meloni se non proprio un fallimento quasi, certificato dallo slittamento al 2024 del Memorandum con la Tunisia e dai veti incrociati sui fondi per l’Africa.

Sono passati venti giorni esatti e lo scenario che oggi e domani fa da sfondo al Consiglio Ue è completamente diverso: il 7 ottobre, giorno seguente il vertice spagnolo, c’è stato l’attacco di Hamas a Israele con l’uccisione e il sequestro di civili, seguito dai bombardamenti israeliani su Gaza ma anche dal ritorno del terrorismo in Europa con gli attacchi in Francia e Belgio e dalla conseguente decisione adottata da dieci Paesi di ripristinare i controlli alle frontiere interne sospendendo Schengen. Un altro mondo rispetto a solo tre settimane fa, in cui immigrazione illegale e terrorismo sono tornate a mischiarsi come in passato, e che inevitabilmente finirà col pesare nelle decisioni che potrebbero essere prese oggi a Bruxelles.

NELL’ORDINE DEL GIORNO del vertice l’immigrazione figura solo al quinto posto tra gli argomenti da trattare dopo l’Ucraina – con un intervento da remoto del presidente Zelensky -, le questioni economiche e un imprescindibile punto sul conflitto in Medio oriente. Ma già ieri, nella lettera inviata da Ursula von der Leyen ai 27 leader, si è capito come il dossier sia destinato a tenere ancora una volta banco. «Per rafforzare il controllo delle frontiere esterne gli Stati membri potrebbero prendere in considerazione il rafforzamento dell’operazione Irini», scrive infatti la presidente della Commissione Ue. Il riferimento è alla missione europea varata nel 2020 con il compito di assicurare il rispetto dell’embargo di armi alla Libia e ostacolare il contrabbando di petrolio, ma che ora potrebbe essere impiegata anche per l’avvistamento nel Mediterraneo dei barconi con i migranti «attraverso una maggiore sorveglianza aerea». La proposta viene incontro alle richieste italiane ed era stata avanzata a Granada dal rappresentate della politica estera dell’Unione, Josep Borrell.

VON DER LEYEN non entra nei particolari, ma si può supporre che se mai dovesse partire la missione si limiterebbe a segnalare la presenza dei barconi alle autorità di Libia e Tunisia, i principali paesi di partenza di quanti sperano di raggiungere l’Europa, lasciando a queste ultime il compito di riportali indietro. Non a caso la presidente chiede agli Stati di «rafforzare la capacità dei nostri partner di condurre efficaci operazioni di sorveglianza delle frontiere e di ricerca e salvataggio». Per questo Bruxelles, oltre all’addestramento del personale, sta provvedendo anche alla fornitura dei mezzi necessari a bloccare i migranti: cinque navi già consegnate alla Libia, pezzi di ricambio alla Guardia costiera tunisina per mantenere in funzione sei motovedette con la promessa di ripararne altre entro la fine dell’anno. «Si prevede – annuncia inoltre von der Leyen – che nei prossimi mesi ne verranno consegnate altre ai paesi del Nord Africa».

Il rapporto con i paesi di origine e di transito dei migranti – insieme alla necessità di velocizzare i rimpatri rendendoli eseguibili nello stesso momento in cui viene respinta la richiesta di asilo di un migrante – è l’altro punto con cui l’Unione spera di fermare i flussi. Nonostante gli scarsi risultati ottenuti finora (negati però sia da von der Leyen che dalla premier Meloni), l’accordo siglato a luglio con la Tunisia resta il modello da seguire. Turchia, Giordania e Libano, insieme a Senegal e Mauritania, sono i paesi con cui rinnovare o siglare nuove intese di partenariato, ma è soprattutto all’Egitto che si guarda a Bruxelles: «Il ruolo dell’Egitto è vitale per la sicurezza e la stabilità del Medio oriente – spiega von der Leyen – poiché ospita un numero crescente di rifugiati e abbiamo la responsabilità di sostenerlo».

NON MANCANO I NODI. Siglare nuovi accordi con gli Stati africani significa più soldi dal bilancio europeo da investire. La Commissione chiede 15 miliardi di euro in più per la migrazione ma alcuni Paesi, a partire da Polonia e Ungheria ma anche, per motivi diversi, la Germania, non sono d’accordo. Con Berlino si rischia poi di riaccendere uno scontro mai definitivamente spento. Il cancelliere Olaf Scholz non considera la Tunisia un Paese sicuro per i migranti, giudizio che lo divide da Meloni. Non è un caso se ieri, pur senza nominarlo, la premier non ha rinunciato alla polemica: «Nel rapporto con la Tunisia – ha detto Meloni nelle comunicazioni al parlamento sul Consiglio – non funziona che una parte dell’Ue si presenta considerando la partnership strategica e un’altra parte tenti di smontare quell’accordo dicendo che la Tunisia non è un porto sicuro e che Saied (il presidente tunisino, ndr) è un dittatore. Non si può pensare di trattare con dei partner così».