Lavoro

Mirafiori teme per il futuro: «Faremo la fine di Embraco?»

Mirafiori teme per il futuro: «Faremo la fine di Embraco?»Torino, la Fca di Mirafiori – Ap

Torino Il cuore della vecchia Fiat non è al centro della nuova Fca: pochi investimenti, molti contratti di solidarietà. Marchionne lascerà nel 2019 e sembra pensare più a far quadrare i bilanci che a rilanciare la produzione

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 17 febbraio 2018

La testa non è più qui da un pezzo. Il patrimonio di competenze è rimasto, manca tutto il resto: investimenti e certezze. L’asse tecnico di cui Mirafiori era il perno si è spostato, in Italia, verso Modena e, a livello globale, verso gli Stati Uniti, ormai divenuto quartier generale di Fca. Gli Enti centrali e il loro cuore, ovvero la progettazione – il cui stato di salute spesso indica quello di un’azienda -, vivono una fase di limbo, di attesa, in bilico fra la speranza di nuovi modelli e la paura di una lenta smobilitazione. Si tratta di 8 mila dipendenti (l’80% impiegati tecnici), divisi tra engineering, motori, prototypes, centro ricerca.

NON STANNO LAVORANDO a nuovi modelli, tutto è rimandato al primo giugno, giorno dell’Investor day, quando l’ad Sergio Marchionne presenterà il suo ultimo piano industriale, avendo già confermato che lascerà il suo incarico nel 2019. Fca ha sfiorato di un soffio il raddoppio degli utili nel 2017, il gruppo italo-americano ha chiuso l’anno passato con un utile netto in aumento del 93% a 3,5 miliardi di euro.

Nonostante questi dati il futuro dell’azienda è molto sfocato, soprattutto in Italia. Sia sul piano occupazionale, dove la sbandierata piena occupazione prevista per il 2018 appare più che un miraggio, lo testimonia la recente notizia che i contratti di solidarietà verranno estesi a quasi tutti i lavoratori delle Carrozzerie di Mirafiori (3.526 su 3.659) a fronte dei duemila attuali, interessando anche gli addetti al suv Levante. Sia sul piano progettuale, dove, a parte qualche soluzione tampone, l’orizzonte è ancora piatto. Sfogliando un qualsiasi listino auto si può notare come Fca non presenti nessun modello ibrido o elettrico, settore su cui, invece, gli altri costruttori stanno pesantemente puntando. La Chrysler Pacifica Hybrid non è attualmente in vendita in Italia. Come non lo è la 500 elettrica.

«NON LAVORANDO SU vetture nuove, ci sentiamo mancare la terra sotto ai piedi», dicono, interpretandone il clima, i lavoratori degli Enti centrali, chiedendo l’anonimato. Al Centro Ricerche di Orbassano (Crf), in attesa che entri a regime il progetto – sostenuto da Regione Piemonte e ministero dello Sviluppo economico – sulla mobilità del futuro, i tecnici sono impiegati in mansioni di riduzione costi. Alle Costruzioni sperimentali, chiamate ora Prototypes, di via Biscaretti, un tempo laboratorio dell’auto del domani, gli addetti sono occupati nella trasformazione del Ducato, che arriva dalla Sevel Val di Sangro, in camper. Erano 1.200 i lavoratori impiegati in questo settore, ora sono 300. Va meglio per chi si occupa di motori perché sta lavorando all’omologazione dei modelli secondo l’Euro 6d, l’ultimo standard europeo sulle emissioni inquinanti.

Sul tema dell’auto elettrica, l’ad Fca ha avuto posizioni contraddittorie nel giro di pochi mesi. A ottobre, durante la consegna della laurea ad honorem a Rovereto, aveva descritto le auto elettriche come «un’arma a doppio taglio». «Forzare l’introduzione dell’elettrico su scala globale, senza prima risolvere il problema di come produrre l’energia da fonti pulite e rinnovabili, rappresenta una minaccia all’esistenza stessa del nostro pianeta», aveva detto Marchionne. Un mese fa, la giravolta, in un’intervista a Bloomberg: «La metà delle auto prodotte nel mondo entro il 2025 sarà ibrida, elettrica o a celle di combustibile». Una rivoluzione che richiede un investimento infrastrutturale di tutto il Paese; infatti, bisognerebbe potenziare le reti elettriche. E l’Italia è in ritardo.

TORINO, LEADER NEL DIESEL (globalmente sotto attacco) e del segmento A e B si trova spiazzata. Gli ultimi modelli su cui progettualmente si è lavorato sono la 500, con la più recente versione 500x, la Jeep Renegade. La Giulietta è stata iniziata qui, poi conclusa a Modena. Le risorse professionali a Mirafiori continuano a esistere, aspettano un cambio di marcia ma Marchionne sembra più interessato alle questioni finanziarie che al prodotto. La logica è quella di far lievitare il titolo e arrivare a debito zero nel primo semestre 2018. Il mantra è il bilancio.

«Nel 2019 Marchionne dovrà nominare il nuovo amministratore delegato e se sarà americano qui si andrà verso lo spegnimento. Abbiamo il timore di fare la fine, in grande, dell’Embraco, dove la multinazionale Whirlpool ha prima preso i brevetti, assorbito i saperi e i contributi pubblici, e poi ha deciso di chiudere», sottolineano i dipendenti degli Enti centrali.

IL PRIMO GIUGNO NON si faranno attendere le novità. «Ma l’incertezza non è destinata a risolversi con l’Investor day», spiega Federico Bellono, segretario provinciale della Fiom. «Marchionne e i suoi collaboratori hanno preso atto della direzione di marcia dei grandi costruttori, in particolare tedeschi, condizionati dalle scelte del mercato cinese. Ecco, allora, la recente pubblica sterzata verso l’elettrico. Arrivandoci, però, in ritardo più che investire sulla propria ricerca il gruppo comprerà tecnologia da altri. Penseranno all’ibridazione di modelli esistenti. Fca aveva tentato un’altra strada, quella del metano: una scommessa che non ha orientato il mercato. Quello che è chiaro è che l’Italia non è più centrale. Servono investimenti in tempi brevi per dare prospettive alla Fca torinese e i suoi lavoratori». In sintesi, questo è l’unico obiettivo possibile.

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