Minas Gerais, il Brasile in miniatura si prepara al voto
Reportage Lo Stato termometro politico della sfida di domenica prossima al ballottaggio. Dove Lula e Bolsonaro al primo turno hanno avuto un risultato fotocopia del voto a livello nazionale, decimali compresi. «Dal 1950, nessuno è diventato presidente senza vincere anche qui»
«Dal 1950, nessuno è diventato presidente del Brasile, senza vincere anche qui» è la prima cosa che ti dicono quando parli di elezioni nel Minas Gerais. Il secondo Stato più grande del paese, 21 milioni di abitanti, il 10% del totale, misura la temperatura politica di tutto il Brasile: qui al primo turno Lula ha raggiunto il 48,4% e il presidente uscente di estrema destra, Bolsonaro, il 43,2%. Esattamente la stessa percentuale a livello nazionale, decimali compresi.
«È uno Stato che rappresenta le caratteristiche del Brasile» spiega Roberto Andrés, urbanista presso la Universidade Federal de Minas Gerais. La sua economia, 9% del Pil nazionale, riflette la diversità del Brasile: «Il nord povero è simile agli Stati del nord est, il sud – con zone industriali e piccoli centri – simile all’interno di San Paolo e Rio de Janeiro, nella zona occidentale, il triangolo mineiro, è forte l’agronegocio, le grandi imprese degli alimenti e del caffè, come nel centro-ovest del Brasile.
BELO HORIZONTE È LA CAPITALE di questo Brasile in miniatura. Lo è diventata a fine ‘800, sostituendo Ouro Preto, prima capitale durante il ciclo dell’oro, quando il governo decise di fondare una nuova capitale, progettandola su uno spazio praticamente vuoto. «Città assolutamente bella, perché nata da un’idea, conserva la chiarezza lineare dello sviluppo» la descriveva lo scrittore austriaco Stefan Zweig negli anni 30.
«A Beagá – come tutti chiamano Belo Horizonte – ci sono migranti, studenti, problemi di trasporto pubblico, gentrificazione, samba e chiese evangeliche, come nelle altre capitali del sud est. Ma è anche una città provinciale, con una mentalità chiusa» racconta B. F, dipendente di un grosso gruppo editoriale che preferisce restare anonimo per timore di ritorsioni .
Il sindaco di Beagá, Alexandre Kalil, era candidato a governatore dello Stato per la sinistra. Ha perso per la sua «gestione troppo rigorosa della pandemia, ci sono state meno vittime, ma elettoralmente non ha pagato» spiega B.F. Chi ha vinto al primo turno è il governatore uscente Zema, un bolsonarista dal volto umano. «Ma d’altronde è comune nel Minas una discrepanza del voto tra presidente e governatore. Durante i governi di Lula, c’era sempre un governatore di segno politico opposto» spiega Andrés.
Attorno a Belo Horizonte, che da sola vale il 15% del Pil dello Stato, secondo i dati della Fundação João Pinheiro, sorgono miniere di metalli e oro, che danno il nome allo Stato, e industrie, alcune tecnologicamente molto innovative.
Come a Betim, sud di Belo Horizonte, zona di fabbriche metalmeccaniche, dove sorge l’avveniristico impianto Fiat, il più grande dell’America Latina, che produce 800 mila auto l’anno.
A Betim, dove Lula e Bolsonaro sono arrivati entrambi al 45%, i lavoratori hanno denunciato i datori perché li hanno obbligati ad assistere al comizio di un deputato bolsonarista nella fabbrica, indossando le magliette verdeoro simbolo della campagna bolsonarista. A tutti è stato promesso un prosciutto in cambio del voto. Nel Minas Gerais si è registrato il record di denunce di assédio eleitoral, di minacce alla liberta del voto.
ANCHE NEI MODI DELLA POLITICA, Minas è lo specchio del Brasile. Qui sono stati eletti due dei deputati più social del momento, simili nei metodi e contrapposti negli schieramenti: Nikolas Ferreira e André Janones.
Nikolas, 26enne con viso da adolescente, si definisce cristiano conservatore e conosce a memoria tutto il repertorio bolsonarista: «I giovani ci votano perché sono stufi di donne cosi promiscue» ha detto per spiegare il voto giovanile per Bolsonaro. È stato il deputato più votato «ma non aveva avversari interni forti, tutto il voto bolsonarista è confluito su di lui» spiega Andrés. Il Supremo Tribunale Elettorale lo ha obbligato a eliminare un video in cui accusava Lula di satanismo. Lui ha rispettato l’ordine, «tanto lo hanno già visto milioni di persone» ha commentato.
Sul lato opposto André Janones, che come Nikolas è evangelico, paurosamente sicuro di sé e abile propagatore di fake news. Deputato uscente diventato famoso per avere fatto da eco a una protesta di camionisti, i suoi video iniziano con: «ATTENZIONE! INCREDIBILE! CONDIVIDETE!». Dice di aver fondato lo janonismo culturale, cioè la lotta di sinistra sui social network.
«Janones è l’arma spuntata del lulismo per combattere la guerra delle fake news – spiega B. F. -, la destra lavora sui social e il microtargeting – messaggi su misura per piccoli gruppi di utenti – da prima dell’elezione di Bolsonaro e non hanno mai smesso in questi quattro anni di governo».
«OGGI, LA VERITÀ NON ESISTE, esiste quello in cui la gente crede. Dobbiamo giocare come loro, non è il momento di dilemmi morali di fronte al rischio di altri quattro anni di Bolsonaro» dice Fernanda., consulente di marketing politico, mentre parla con una giornalista a una festa nella comunità di Lagoinha. Entrambe fanno parte del collettivo Jornalistas Negras e Negros. «I neri che votano Bolsonaro? Sono soprattutto evangelici, non si sentono vittime di razzismo e non si vestono come me» dice l’amica, indicando la sua gonna colorata, gli orecchini di legno e il turbante che le copre le trecce.
Che Minas sia chiave per il risultato lo si capisce guardando l’agenda dei candidati, che visitano lo Stato frequentemente, nelle quattro settimane di campagna tra il primo turno e il ballottaggio.
Dove passa Lula, ritorna Bolsonaro e viceversa. A Juiz de Fora, 700 mila abitanti, Lula convoca un comizio per difendere il vantaggio conquistato al primo turno, pochi giorni dopo un evento di Bolsonaro. Per lui è il luogo dov’è «nato di nuovo» dice, riferendosi all’attentato del 2018, quando è stato accoltellato allo stomaco. Evento che trasformò la sua campagna elettorale e fu decisivo per la vittoria.
BOLSONARO A BELO HORIZONTE ci torna varie volte: incontra i sindaci, accompagnato dal governatore Zema, in un centro commerciale nella zona sud. Decine di Suv con le bandiere del Brasile suonano il clacson e un gruppo di donne – quasi tutte bianche di mezza età, capelli biondi tinti e le sopracciglia finte – lo aspettano per un selfie, dietro lo striscione “Donne per Bolsonaro”. Inoltre, può contare «sul supporto delle élite economiche, riunite nella Federação das Indústrias do Estado de Minas Gerais, e della stampa» spiega André.
Lo scorso 18 ottobre, le università di Minas Gerais hanno convocato uno sciopero contro i tagli del Governo federale all’istruzione, atto che rientra nelle iniziative di campagna pro-Lula. Un paio di migliaia di persone sfilano per il centro di Belo Horizonte, gruppi politici organizzati, docenti, studenti e lavoratori, un bandierone con il volto del pedagogista Paulo Freire. Anche lui è diventato un simbolo della battaglia culturale che divide il Brasile: per i bolsonaristi è il responsabile del fallimento del sistema d’istruzione federale.
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Paulo Freire, un alfabeto di speranzaL’ULTIMO PASSAGGIO DI LULA è un corteo a Ribeirão das Neves, quartiere popolare cresciuto disordinatamente a nord di Belo Horizonte, dove si è persa la «perfetta e armonica unità» vista da Zweig. Ma «prima di Lula c’era solo il carcere, ora ci sono asili e scuole» raccontano gli abitanti.
In uno spiazzo, attorniato da case basse di mattoni, bar e negozietti, Lula parla da un camion a una folla riunita sotto il sole. Al suo fianco Simone Tebet, terza classificata al primo turno delle presidenziali, candidata centrista che ha spiccato per ottime performance nei dibattiti in tv e adesso si è buttata a capofitto nella campagna del ballottaggio.
Con lei, Marina Silva, simbolo della difesa dell’Amazzonia, ex ministra dell’Ambiente di Lula, che ha messo da parte le vecchie ruggini in nome della scelta “democrazia o barbarie”, e declama dal palco: «Lula ha al suo fianco due donne per chiudere la campagna, una bianca e una nera, una cattolica e una evangelica, una del sud-est, l’altra del nord-ovest, questa è la diversità del Brasile». La folla la acclama.
È UN MOMENTO DI ALLEGRIA per i militanti lulisti che soffrono l’aggressività della campagna di Bolsonaro sui social networks. «Vedo la campagna di Lula un po’ ingolfata, mentre quella di Bolsonaro va a pieno regime» racconta B.F.
E in effetti, in sole 72 ore, tra il 18 e il 20 ottobre, il comitato Bolsonaro ha acquistato pubblicità su YouTube per oltre 900 mila euro, un record. Manca poco per sapere se l’investimento avrà dato i suoi frutti.
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