Internazionale

Mille casi in 24 ore. Teheran si svuota, il nord è isolato

Coronavirus Tra i 145 morti, anche una parlamentare. A due settimane dal Capodanno persiano, l’Iran chiude le vie di comunicazioni tra la capitale e il Mar Caspio. «Peggio delle sanzioni, peggio di una guerra», racconta lo scrittore Mohammad Tolouei

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 8 marzo 2020

«A Teheran l’atmosfera è surreale. Sono le settimane che precedono il Capodanno persiano. Di solito in questo periodo le strade sono piene di traffico, nei centri commerciali e al bazar non ci si può muovere tant’è la ressa. Invece adesso è tutto il contrario: il Gran bazar di Teheran è vuoto, i ragazzini ci giocano a calcio! Anche la metro è deserta. È cento volte peggio delle sanzioni. I primi a pagarne le conseguenze sono i piccoli commercianti. L’effetto del coronavirus su Teheran è peggio di una guerra». È quanto ci racconta lo scrittore Mohammad Tolouei, autore del romanzo Le lezioni di papà pubblicato da Ponte33 nella bella traduzione di Giacomo Longhi.

In Iran i casi confermati di coronavirus sono 5.823 di cui oltre mille nelle ultime 24 ore, 145 i morti e tra questi sette politici tra cui la deputata neoeletta Fatemeh Rahbar, 55 anni.

Per la scrittrice Mahsa Mohebali, «ci sentiamo come negli anni Ottanta, quando gli iracheni ci bombardavano. Ma allora il pericolo era visibile, ci nascondevamo nei rifugi. Oggi, invece, il virus ci fa sentire sempre vulnerabili. Scuole e università, cinema e teatri sono chiusi fino ai primi di aprile, gli eventi culturali sono stati annullati, nei caffè c’è pochissima gente. Restano aperti gli uffici pubblici. Non abbiamo fiducia nelle autorità, temiamo che i contagi siano maggiori di quanto dichiarato. Come scrittrice sono abituata più di altri a restare isolata, ma prendiamo l’emergenza sul serio e usciamo solo se strettamente necessario».

Residente a Teheran, Mahsa doveva venire in Italia a presentare il romanzo Tehran Girl in uscita per Bompiani, anche questo tradotto da Giacomo Longhi. Le sue presentazioni a Roma, Milano e Torino sono state annullate per il coronavirus. Un’emergenza che accomuna Italia e Iran.

«Nelle farmacie nei supermercati iraniani si fa fatica a trovare i flaconi di alcol e disinfettante, le mascherine. I generi alimentari invece non scarseggiano. Abbiamo paura. Facciamo di tutto per tenere alto il morale, cerchiamo di essere solidali l’un con l’altro».

Il 21 marzo ricorre il Capodanno persiano, che gli iraniani celebrano con feste in famiglia e viaggi fuori porta. «Quest’anno sarà tutto sottotono, anche perché l’apice della diffusione del virus è previsto proprio tra quindici giorni. Non sarà il momento opportuno per spostarsi: le autorità hanno chiuso le vie di comunicazioni tra la capitale e le regioni settentrionali a ridosso del Mar Caspio perché nel Mazandaran ci sono trecento nuovi casi di contagio».

Sarà il momento per dedicarsi alla lettura, a ogni latitudine. Veniamo al suo ultimo romanzo Tehran Girl, da che cosa ha tratto ispirazione? «Nella nostra società ci sono persone invisibili di cui nemmeno ci accorgiamo. La protagonista è Elham, la bella segretaria di un uomo ricco. È un cliché: non ci si chiede mai cosa pensa, è ovvio che è al suo posto perché è bella. Cosa le passa per la testa è indifferente. Qui in Iran è pieno di donne così, sembrano concentrate solo sul loro aspetto fisico: il trucco perfetto, un bel nasino, un paio di labbra carnose, le sopracciglia ben curate. Sono automaticamente etichettate come degli oggetti. Bene, a me interessava smontare questo stereotipo, entrare nella testa di una donna così e scoprirla».

Tehran Girl è un romanzo, dunque «la storia e i personaggi appartengono alla mia fantasia», continua Mohebali. «Ma sono vere le descrizione di alcune situazioni che si vivono oggi in Iran. Il fatto che la nostra vita sia così diversa quando usciamo e quando siamo dentro casa. E poi sono vere le dinamiche tra le generazioni e le differenze tra chi, dopo la rivoluzione del 1979, ha continuato a vivere nel paese e chi invece l’ha lasciato. Per alcune scene mi sono ispirata a persone realmente conosciute, come un caro amico che abitava in Svezia e oggi non c’è più».

Il romanzo di Mahsa Mohebali ritrae un frammento della società iraniana. Con un messaggio forte, che arriva dritto al cuore del lettore: «Noi iraniani non ci rassegniamo. E non si rassegna la mia protagonista Elham: è abituata a ricevere ordini, la vediamo sempre passiva. Ma a un certo punto qualcosa si spezza, non è più disposta a farsi andare bene tutto».

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