Quello che avvertiamo come «indicibile» crimine in corso contro le persone migranti al livello globale, è ancora privo di definizione. Il convegno «Migranticidio: un crimine contro l’umanità», promosso da Giuristi Democratici, Mani Rosse Antirazziste e Cred, tenutosi lo scorso sabato 22 aprile presso il Macro di Roma ipotizza di poter dare forma giuridica ad un nuovo e specifico crimine contro l’umanità: il «migranticidio».

Un neologismo che fotografa assai bene il massacro intenzionale dei migranti da parte degli Stati, che, per limitare gli arrivi delle persone migranti sui loro territori, praticano «una politica di sterminio dei flussi migratori», come ricorda Enrico Calamai, ex console italiano nell’Argentina dei desaparecidos.

Occorre cercare nel diritto esistente, a livello sia nazionale che internazionale, la normativa che possa inchiodare alle loro responsabilità i governi italiani e europei. In un’intervista rilasciata a Luigi Galloni, Luigi Ferrajoli afferma che «l’art. 7 dello Statuto della Cpi parla, a proposito dei vari crimini contro l’umanità di «atti commessi intenzionalmente» dalle autorità statali.

Un dolo sia pure soltanto eventuale può certamente ravvisarsi nelle politiche governative che segnalano l’accettazione consapevole del rischio di violazioni massicce dei diritti umani, inclusa la violazione del diritto alla vita, come sono sicuramente gli accordi con le autorità libiche in tema di segregazione dei migranti ed anche i tanti ostacoli alle operazioni di salvataggio imposti dal decreto legge contro le ong».

Ferrajoli conclude: «Si potrebbe perciò formulare una specifica fattispecie di crimine contro l’umanità, il migranticidio, consistente in tutte quelle pratiche istituzionali destinate a provocare la morte in mare di persone che tentano di emigrare ed imputabili, per dolo specifico, a quanti di tali pratiche sono responsabili».

Anche per Chantal Meloni, Professore associato di Diritto penale presso l’Università di Milano, e l’European Center for Constitutional and Human Rights (Ecchr) «le intercettazioni e i rimpatri sono crimini contro l’umanità sotto forma di grave privazione della libertà fisica (art. 7 dello Statuto di Roma), commessi nell’ambito dell’attacco diffuso e sistematico contro i migranti e rifugiati in Libia». La comunicazione dell’Ecchr del 2022 attesta inoltre che la Corte penale internazionale ha giurisdizione su questi su questi crimini nel contesto dell’indagine in corso sulla situazione in Libia e che deve rompere il ciclo dell’impunità.

Il diritto penale è anzitutto uno strumento di oppressione dei migranti – in particolare delle centinaia di persone condannate come «scafisti» a pene che possono arrivare sino a 30 anni di prigione -, ma può anche essere uno strumento a loro tutela.

Luca Masera, Professore ordinario di diritto penale presso l’Università di Brescia, ricorda che all’interno del diritto vigente esistono già le categorie giuridiche per accertare le responsabilità individuali per le morti derivate da singoli episodi di omissione di soccorso in mare; a volte tuttavia sono le Procure a non svolgere indagini rapide e rigorose nei confronti delle autorità italiane, e così l’attivazione della società civile può essere importante per evitare nuovi casi di prescrizione.
Per quanto concerne la responsabilità dei vertici istituzionali, il punto è che nel nostro ordinamento non esiste la categoria dei crimini contro l’umanità: una loro introduzione nell’ordinamento nazionale sarebbe invece fondamentale per poter chiamare a rispondere in sede penale i vertici istituzionali per la criminale politica di sostegno alla cd. Guardia costiera libica portata avanti da tutti i Governi che si sono succeduti dal 2016 in poi.

La politica di dissuasione delle partenze verso le coste italiane praticata dal governo Meloni è infatti «un’intento politico criminale», come ricorda Fulvio Vassallo, avvocato già docente di diritto all’Università di Palermo, «che produce soltanto un incremento dei naufragi per la mancanza di mezzi statali di soccorso e l’allontanamento dal Mediterraneo centrale delle navi civili». Ma prima di ricostruire nuove categorie giuridiche, è necessario «restituire protagonismo alle vittime e rendere i migranti in Italia o intrappolati nei paesi di transito, dei soggetti attivi, per dare voce alle denunce, fornire testimonianze che inchiodino i responsabili delle politiche di respingimenti e di abbandono in mare: ricostruire nuovi percorsi di solidarietà su scala transnazionale.

Intanto, di fronte a persone che si presentano alle frontiere e vengono considerate colpevoli di un «atto di aggressione”- come se la volontà di vivere un’esistenza degna diventasse un attentato ai confini nazionali -, la professora Alessandra Algostino, docente di Diritto costituzionale presso l’Università di Torino ha proposto di invertire la rotta : «Invece di restringere l’asilo, di delocalizzarlo, di criminalizzare chi lo richiede in quanto potenziale truffatore, fondiamo sul diritto di asilo il diritto di migrare, rifiutando la distinzione fra richiedente asilo e migrante economico, rompendo il dominio dei confini in nome del «pieno sviluppo» di ciascuno e di tutti (art. 3 della Costituzione)». E afferma, «per assaltare il cielo della “normalità giuridica”, possiamo appoggiare la scala alla Costituzione e trarre dalla formula ampia che riconosce il diritto di asilo a chi sia impedito l’effettivo esercizio delle «libertà democratiche» (art.10) un elemento per scardinare la distinzione ».

In tempi di assuefazione alle migliaia di morti sui confini terrestri e marittimi, questa assemblea ha avuto il raro merito di immaginare un nuovo diritto dei migranti, perché «senza immaginazione – come ricorda Algostino – si perde l’orizzonte del costituzionalismo, la sua forza prescrittiva contro il potere e nel nome dei diritti». Con una precisazione: l’immaginazione non vive nel regno dell’astrazione, ma è un qualcosa di concreto, è un «fare pensante» (Castoridis). Nominare il migranticidio è un primo passo per cambiare la Storia.