Migranti, Tajani frena sull’intesa con Tirana: «Presenteremo un ddl»
Il ministro degli Esteri alla Camera: «Spiegheremo normativa e stanziamenti». Schlein: «Il governo sbatte il muso contro la Costituzione»
Il ministro degli Esteri alla Camera: «Spiegheremo normativa e stanziamenti». Schlein: «Il governo sbatte il muso contro la Costituzione»
Sarà anche «storico», come assicura la premier Giorgia Meloni e come vanno ripetendo alcuni suoi ministri, ma l’accordo sui migranti siglato due settimane fa con il premier albanese Edi Rama – e presentato come praticabile in tempi brevi – subisce il primo stop. «Il governo intende sottoporre in tempi rapidi alle Camere un disegno di legge di ratifica che contenga anche le norme e gli stanziamenti necessari all’attuazione del protocollo», annuncia Antonio Tajani parlando ieri mattina nell’aula di Montecitorio.
LE PAROLE del vicepremier e ministro degli Esteri sono qualcosa di più di una marcia indietro rispetto agli annunci iniziali e anche del venire incontro alla volontà delle opposizioni che per giorni hanno chiesto un dibattito parlamentare sull’accordo con Tirana. Smentiscono quanto affermato fin da subito dal ministro per i rapporti con il parlamento Luca Ciriani che aveva definito «non necessario» un passaggio alle Camere. E confermano la confusione che nell’esecutivo regna sull’accordo. «Ancora una volta il governo va a sbattere il muso contro la Costituzione», commenta la segretaria del Pd Elly Schlein che parla di «scricchiolii nella maggioranza» mentre sia +Europa che Avs non hanno dubbi sul futuro dell’accordo: «Sarà un totale fallimento».
TAJANI si presenta alla Camera descrivendo l’intesa con Tirana come «un tassello significativo nella strategia» del governo per mettere un argine ai flussi di migranti. Entrando nel merito ripete quanto si è saputo nei giorni scorsi, vale a dire che l’Albania concederà all’Italia due aree nelle quali alloggiare i migranti tratti in salvo nelle acque internazionale del Mediterraneo: un punto di arrivo nel porto di Shengijn destinata alla prima accoglienza e all’identificazione dei migranti. E una seconda nella base militare di Gjader, a 30 chilometri di distanza dal porto, dove verranno rinchiusi coloro che non hanno diritto alla protezione internazionale e dovranno essere rimpatriati. Dimostrando un certo ottimismo, il governo conta di riuscire ad esaminare le richieste di asilo in 28 giorni, mentre i tempi di permanenza nella seconda struttura, un vero e proprio Cpr, possono protrarsi fino a 18 mesi. «Le procedure saranno quelle italiane e svolte esclusivamente dalle autorità amministrative e giudiziarie italiane» aggiunge il ministro spiegando che non verranno portati in Albania donne incinta, minori e vulnerabili.
Tajani non spiega, però, dove e quando verrà accertate lo stato di salute e anagrafico dei migranti. Per quanto riguarda i costi, invece, regna ancora la vaghezza, con una sola eccezione: per le spese che dovrà sostenere l’Albania (sorveglianza esterna dei centri, eventuali ricoveri e ricorsi) è previsto «un anticipo iniziale di 16,5 milioni di euro». L’accordo «non è paragonabile» a quello della Gran Bretagna con il Ruanda», assicura. «Non c’è esternalizzazione a un paese terzo nella gestione delle domande di asilo» e i diritti «sono garantiti e riaffermati più volte nel protocollo».
LE OPPOSIZIONI, ancora una volta divise con due risoluzioni separate – la prima di Pd, Avs, +Europa, Iv e Azione, la seconda del M5S – pur incassando il successo per aver ottenuto i dibattito parlamentare, non risparmiano critiche all’intesa. «La verità è questo inutile e costoso accordo è stato stipulato con il governo albanese senza che neanche i partiti della maggioranza ne fossero messi a conoscenza«», dice il sem Matteo Mauri. Per Riccardo Magi (+Europa) si tratta invece di un «accorso che una costruzione di cartapesta che forza il diritto, ma è sufficientemente solido da richiudere persone che non hanno compiuto reati». In serata la risoluzione della maggioranza passa con 189 voto a favore e 126 contrari. Adesso la discussione si sposterà in parlamento, una volta che il governo avrà presentato il ddl. «Sappiamo che loro hanno i numeri – dice Schlein – ma noi daremo battaglia in parlamento».
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