Starmer abbraccia Meloni nella guerra ai migranti
Il Labour sporco La premier italiana esulta per l'interesse del governo britannico sul protocollo Roma-Tirana. Rispetto al via libera per i missili a lunga gittata dall’Ucraina alla Russia, invece, resta il disaccordo
Il Labour sporco La premier italiana esulta per l'interesse del governo britannico sul protocollo Roma-Tirana. Rispetto al via libera per i missili a lunga gittata dall’Ucraina alla Russia, invece, resta il disaccordo
«Secondo me il deterrente più probabile per contrastare l’immigrazione irregolare è colpire le organizzazioni criminali che permettono questa attività. Il precedente governo britannico aveva un approccio di facciata costato 700 milioni di sterline, con il piano Ruanda. Il nostro è più pragmatico: abbiamo già rimpatriato 3mila persone, compreso il volo più grande mai decollato». Bastano queste frasi pronunciate ieri dal premier Uk Keir Starmer alla fine della conferenza stampa con l’omologa italiana Giorgia Meloni per capire che tra i due non c’è solo un feeling occasionale, ma un’intesa profonda. Almeno sulle politiche migratorie, perché sull’altro grande tema del bilaterale, l’Ucraina, le differenze restano.
STARMER E MELONI, ovvero il Labour e Fratelli d’Italia, quindi un certo centro-sinistra e la destra-destra, condividono la stessa interpretazione delle migrazioni: un fenomeno che dipende sostanzialmente dalle organizzazioni criminali. Infatti lei cita Falcone e Borsellino e il loro «follow the money», lui l’esperienza da direttore dell’ufficio del procuratore generale Uk impegnato nella lotta alle organizzazioni jihadiste. Mafia e terrorismo: a questo pensano i due leader quando discutono di migranti.
Da premesse uguali derivano uguali soluzioni: intensificare la lotta ai trafficanti; aumentare la collaborazione giudiziaria, di polizia e intelligence; usare più e meglio Interpol ed Europol creando, propone la leader FdI, sezioni specifiche per il controllo delle frontiere. A dare l’impressione che le ricette italiane funzionino c’è il calo degli sbarchi: -60% sul 2023. Tra Starmer e Meloni aleggia poi il fantasma dell’Albania. Quando al primo, criticato in patria da altri esponenti labour e alcune Ong, viene chiesto se sta ragionando sulla delocalizzazione dei richiedenti asilo, la risposta è elusiva. Dunque è un Sì. Anche perché Meloni è esplicita: «Sul protocollo Roma-Tirana il governo britannico dimostra grande attenzione».
PER LA PREMIER è decisivo incassare questo sostegno. Le recenti pronunce dei tribunali di Palermo e Catania sulle norme per il trattenimento dei richiedenti asilo sono un campanello d’allarme. Dovessero ripetersi nei centri oltre Adriatico il governo incolperà dello stop la magistratura, con le spalle coperte dai partner internazionali: i 15 paesi Ue che hanno chiesto alla Commissione di esternalizzare i migranti e ora il Regno Unito. Appoggio che vale doppio, perché viene dall’altra sponda politica. E infatti mezzo governo esulta, sottolineando che Starmer prende lezioni da Meloni, mentre l’opposizione è spiazzata. Soprattutto quella che aveva indicato la «vittoria al centro» del Labour come un’indicazione per la sinistra italiana.
Tesi di dubbio valore visto che dopo due mesi e mezzo il consenso del premier britannico si è già sgonfiato: per l’ultimo rilevamento YouGov, di fine agosto, la percentuale di adulti con un’opinione negativa del governo Starmer è salita di circa 20 punti, schizzando al 51%, mentre quella dei favorevoli è scesa dal 29% al 23%.
PESANO LE SOLITE politiche di austerità a cui il premier ha fatto appello. Quelle già realizzate, come il tetto di due figli per le famiglie che ricevono sussidi e la recente abolizione del bonus riscaldamento che aiutava dieci milioni di anziani, e quelle che arriveranno. «Dovremo essere impopolari», ha dichiarato Starmer che addossa tutti i problemi all’eredità dei Tories, tacendo le corresponsabilità dei suoi predecessori Blair e Brown. Da quando è entrato al 10 di Downing Street, la cosa più di sinistra che ha fatto è stata togliere il truce ritratto di Thatcher dalla parete.
Non fanno eccezione, come mostra la trasferta di ieri, le politiche migratorie. La ministra dell’Interno Yvette Cooper, che ha confermato l’interesse per i centri in Albania, ha appena annunciato la nomina di un ex-capo della polizia, Martin Hewitt, ai vertici dell’agenzia Border Security. L’obiettivo è blandire le destre e promettere efficienza, mentre nel 2024 nella Manica si contano già 46 morti. Del resto le politiche migratorie sono sempre più terreno di convergenza trasversale, dall’estrema destra al centro-sinistra, come ha mostrato nell’Ue l’approvazione del Patto migrazione e asilo alla fine del primo mandato di von Der Leyen (e ieri sono iniziati pure i controlli alle frontiere tedesche voluti dal socialdemocratico Scholz).
RISPETTO ALL’UCRAINA, invece, tra Starmer e Meloni le distanze restano. Già nei giorni scorsi alti esponenti del governo italiano, da Tajani a Crosetto, avevano chiarito che l’Italia non è d’accordo nel via libera all’Ucraina sull’utilizzo dei missili a lunga gittata in territorio russo. Posizione opposta a quella del laburista, che ha già incassato il No di Biden e Scholz. Così sul piatto restano solo gli Storm Shadow in dotazione ai britannici ma costruiti, tra gli altri, dalla Leonardo.
Secondo peacelink.it l’industria bellica collegata al ministero della Difesa tricolore avrebbe sviluppato proprio «il sistema di navigazione e puntamento di questi ordigni». Ovvero l’aspetto che richiederebbe il sostegno attivo della Nato o dei paesi che vi aderiscono attraverso i loro satelliti. Questione che Putin interpreta come un coinvolgimento diretto e su cui minaccia escalation. Dietro le frasi di rito, comunque, anche Meloni ha chiuso all’ipotesi dei missili in Russia: «Decisione dei singoli paesi».
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