«Con sicura umanità ma con altrettanto rigore e fermezza». Ha introdotto così il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi la conferenza stampa in Prefettura ieri mattina a Trieste. Appena due parole per dire che sì, si è parlato di migranti e rotta balcanica. In effetti era reduce dalla riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica convocato in particolare su quelle tematiche. Il ministro non ha aggiunto altro nel suo scarno intervento, limitandosi a sottolineare la piena sintonia con le istituzioni locali che «riceveranno quanto prima segnali di alleggerimento» dal Governo e l’avvenuto proficuo confronto con i rappresentanti delle forze dell’ordine «che ben conoscono le problematiche quotidiane di cui qualcuno magari ha un’immagine romantica».

È SERVITA una domanda diretta per fargli dire qualcosa di più. La pratica delle riammissioni informali dei migranti dall’Italia alla Slovenia sarà ripristinata nonostante le accuse di illegittimità sostenute da varie associazioni e avvalorate anche in sede giudiziaria? Il sì del ministro è stato senza tentennamenti: «Non mi risulta che siano mai state dichiarate illegali; questa è una affermazione che viene fatta da qualcuno a livello giornalistico. Ci sono due ricorsi pendenti e una sentenza di primo grado che è stata completamente ribaltata. È uno strumento non solo pienamente legittimo ma che riteniamo doveroso riattivare e rafforzare». Di più: «È uno strumento perfettamente in linea con quelle che sono le normative europee e internazionali».

QUINDI RIAMMISSIONI con animo leggero e convinta determinazione. E un controllo ai confini foriero, si direbbe, di qualche novità perché se «ne abbiamo parlato sapendo che vanno rafforzati i controlli e le attività di pattugliamento» ecco comparire anche un «magari con il supporto di alcune tecnologie che possano mitigare l’impegno di risorse umane».

AFFERMAZIONI perentorie e di peso dunque. Non passa un’ora che già un comunicato del Consorzio italiano di solidarietà (Ics) annuncia battaglia: le dichiarazioni del ministro sulla presunta legittimità delle riammissioni al confine italo-sloveno sono definite «di inaudita gravità per chi svolge una funzione istituzionale che dovrebbe essere a presidio della legalità» ricordando che «nessuna riammissione, anche di quei cittadini stranieri che non chiedono asilo, può essere informale perché in uno stato di diritto ogni decisione della pubblica amministrazione deve sempre consistere in un provvedimento scritto, motivato e notificato alla persona affinché la decisione possa eventualmente essere impugnata in giudizio».

NEANCHE UNA PAROLA per quello che riguarda più direttamente Trieste e il suo essere porta di ingresso in Italia dalla rotta balcanica: gli obblighi posti in capo alle istituzioni locali di garantire misure di accoglienza a chi è potenzialmente in condizioni di ottenere protezione internazionale. Non se ne è parlato, evidentemente. Eppure il comunicato di Amnesty International Italia, e non è il solo, aveva già evidenziato non poche criticità legate ai tempi e ai modi con cui vengono accolti i migranti costretti a bivacchi di fortuna in attesa di poter formalizzare le richieste di protezione: «Se tale situazione interessa l’intero territorio nazionale, in Friuli-Venezia Giulia è stata finora affrontata con un grave silenzio e distacco politico. Questa situazione si è tradotta nell’abbandono delle persone, costrette a vivere per strada, in particolare intorno alla zona della stazione di Trieste, senza alcun sostegno se non quello delle associazioni. Uomini, tra cui molti minori, passano settimane, o anche mesi, all’addiaccio, senza un tetto, senza possibilità di lavarsi. Solo le associazioni forniscono coperte, indumenti, cibo e assistenza legale».

CI SI può stupire ma non tanto se si pensa che il sindaco di Trieste ha ripetuto più volte e in diverse sedi che le competenze sui migranti non sono sue e, quindi, di non sentirsi obbligato.