Uscendo da palazzo Chigi quando ormai è sera, Matteo Salvini sente il bisogno di confermare la «piena fiducia» in Giorgia Meloni e nei ministri di Interno, Difesa e Esteri, vale a dire i tre che, insieme alla premier, seguono in prima persona il delicato dossier migranti. Parole che dovrebbero essere scontate per chi fa parte della maggioranza, e che invece lasciano spazio al dubbio che il vertice convocato da Meloni per affrontare l’emergenza dettata dal bollettino quotidiano degli sbarchi, sia stato tutt’altro che tranquillo. Anche perché il governo non ha ancora fatto arrivare i pareri al decreto Migranti in discussione al Senato, decreto che la Lega punta a utilizzare come cavalo di Troia per reintrodurre i decreti sicurezza. E causa del ritardo potrebbero essere i tentativi di trovare una mediazione all’interno della maggioranza per poi procedere con proposte di modifica comuni.

Sarà un caso, quindi, ma a Salvini scappa un commento che la dice lunga sui rapporti con i soci di governo: «Rimane per me il vanto che, ahimé, negli ultimi anni l’anno i cui si sono registrati meno morti e meno dispersi nel Mediterraneo era l’anno in cui erano in vigore i decreti, in cui io ero ministro dell’Interno. Qualcuno dirà che era una coincidenza – è la conclusione – ma io non credo alle coincidenze».

Annunciato nei giorni scorsi con molta enfasi il vertice – al quale oltre a Meloni e Salvini hanno preso parte anche i ministri Piantedosi, Crosetto e Tajani – del resto si è concluso senza grosse novità. La principale riguarda la Tunisia, e in particolare la necessità di riuscire a sbloccare il prestito da 1,9 miliardi di dollari del Fmi fermo da ottobre. Prioritaria è l’azione «per aiutare questa nazione amica in un momento di difficoltà. In particolare si è discusso dello sblocco dei finanziamenti», spiegano a palazzo Chigi sottolineando aperture in tal senso da parte di Stati uniti e Ue. E nei prossimi giorni a Roma arriverà il ministro degli Esteri tunisino Nabil Ammar per un faccia a faccia con Tajani.

Ma per il governo la Tunisia, diventata ormai la principale piattaforma di partenza dei migranti, significa soprattutto il numero degli arrivi sulle nostre coste, cresciuto di oltre il 300% nei primi tre mesi del 2023. Numeri che mettono parecchio in crisi il sistema di accoglienza, dove trovano già posto oltre 110 mila persone, e rischiando di portarlo al collasso. Servono nuove strutture dove alloggiare le migliaia di persone prevedibilmente in arrivo nelle prossime settimane e mesi. Possibilmente evitando le grandi concentrazioni che negli anni scorsi hanno portato a tensioni con le popolazioni locali. Per questo, però, servono soldi per aiutare le amministrazioni, alle quali è stato anche chiesto di segnalare possibili strutture da destinare all’accoglienza: case sfitte, alberghi in disuso, pensionati, tutto ciò che sia possibile trasformare in alloggi.

L’Anci, l’Associazione dei comuni, ha però già fatto i conti calcolando in 600 milioni di euro la cifra necessaria per fronteggiare l’emergenza: «Così il sistema collassa», ha lanciato allarme Matteo Biffoni sindaco di Prato e responsabile immigrazione per l’Anci. I posti non si trovano, le prefetture sono in difficoltà, le norme per il riconoscimento giuridico farraginose, senza parlare dei 2.500 minori no accompagnati arrivati solo a gennaio». Non manca, poi, l’amarezza per le richieste dei sindaci rimaste inascoltate negli anni. «Ciò che abbiamo scritto chiesto a questo governo e al ministro dell’Interno in carica Piantedosi – continua Biffoni – è molto simile, quasi analogo alle richieste che facevamo nel 2011 all’allora ministro Alfano».