All’indomani dell’accordo Italia-Albania e ancora in attesa della valutazione da parte della Commissione Ue, bisogna tener presente che l’esternalizzazione delle procedure di richiesta di asilo e restrizione dell’accesso per i migranti non sono una possibilità a cui l’Europa è ostile. Con un grande problema: quello della segretezza di molte posizioni in seno al governo europeo, che si traduce in poca o nessuna trasparenza nei confronti dei cittadini.

L’accordo tra Meloni e Rama non arriva come un fulmine a ciel sereno nel panorama europeo. La macroregione dei Balcani occidentali è oggi al centro della strategia di allargamento della Commissione europea anche per ragioni che riguardano proprio le rotte dei migranti, sia via terra che via mare, e la possibilità di appaltare a diversi Stati – già membri dell’Unione, o Paesi terzi ma candidati a vario titolo – il carico dello smistamento delle domande di asilo. Molto discusso a Bruxelles, soprattutto dalle ong che operano nel settore della migrazione, è il ruolo del Commissario per Allargamento e Vicinato, l’ungherese Oliver Varhelyi, che negli ambienti Ue è conosciuto per non fare mistero di favorire le politiche di outsourcing nei Balcani. Una politica che secondo i ben informati non è mai stata ufficialmente sconfessata dai vertici della Commissione, a partire della presidente Ursula von der Leyen.

L’atteggiamento non ostile verso le posizioni espresse dal commissario indicato da Viktor Orban dimostra quindi che a livello di esecutivo europeo si ipotizza da tempo un ruolo di restrizione all’immigrazione da mettere in atto prima che i migranti arrivino nei Paesi di destinazione.

Una volta stabilito che il filtro all’asilo si può appaltare nei Balcani in cambio di soldi, il caso dell’Albania potrebbe perfino sembrare un’implementazione delle politiche Ue.

Ascoltato in audizione presso la commissione Esteri dell’Europarlamento, lo stesso commissario Varhelyi ha dichiarato a proposito dell’accordo bilaterale tra Roma e Tirana: «Stiamo analizzando questo modello che è interessante. Vi è già una buona collaborazione sulla sicurezza fra Albania e Italia, ad esempio i grossi sforzi fatti dalla Guardia di Finanzia nel 2020 e 2021. Questo ha cambiato la realtà anche in Albania. Credo quindi che qualsiasi tipo di cooperazione fra l’Italia e l’Albania per la sicurezza dell’Europa vada apprezzato. Naturalmente saremo pronti magari anche a contribuire».

Nella relazione annuale sui progressi nell’adesione all’Ue pubblicata dalla Commissione si legge che anche se non sono stati compiuti progressi per quanto riguarda i rinvii e l’accesso alle procedure di asilo, con sostanziali carenze nelle procedure di rimpatrio. Nel complesso il piano giuridico albanese sulla migrazione viene valutato «in gran parte in linea con la normativa europea».

Solo pochi mesi fa, la piattaforma Statewatch.org ha rivelato come nel febbraio 2022 i ministri degli Interni dei 27 avevano firmato una dichiarazione comune che impegnava gli Stati Ue ad aumentare il supporto finanziario e materiale per il ritorno verso Paesi terzi dai Balcani occidentali, considerati una «zona cuscinetto».

Ma la tendenza di Bruxelles verso l’esternalizzazione è ancora più antica. E riguarda anche altre aree cerniera tra i Paesi di partenza – Medio Oriente, Africa del nord e subsahariana – e la «Fortezza Europa». Nel giugno 2018 il Consiglio europeo aveva invocato la creazione di piattaforme di sbarco (regional disembarkation platforms) che permettessero di portare in Paesi nordafricani i migranti salvati in acque internazionali nel Mediterraneo. Il piano messo a punto dai capi di governo prevedeva che tali piattaforme in territorio non europeo operassero da filtro per stabilire chi fosse intitolato alla protezione o all’asilo e chi invece dovesse essere rimandato alla propria terra d’origine. All’epoca, perfino il servizio legale del Parlamento europeo aveva dato parere favorevole.

«L’esternalizzazione del diritto d’asilo è portata avanti con decisione da Commissione e Consiglio Ue attraverso accordi informali ed opachi che vengono attuati in contrasto con il diritto dell’Unione», dice al manifesto Gianfranco Schiavone, presidente dell’Italian Consortium of Solidarity (ICS) di Trieste. «Entra nei nuovi testi, in particolare con la riforma della direttiva (futuro Regolamento) sulle procedure di esame delle domande».