Migranti in marcia verso la frontiera Usa, come e più di prima
A Tegucigalpa, San Salvador, San Pedro Sula o a Città del Guatemala si vedono, per le vie del centro e delle zone “per turisti”, centinaia di venezuelani e venezuelane chiedere supporto per raggiungere gli Stati uniti. È così da quando a metà ottobre l’amministrazione Biden ha cambiato le regole migratorie decidendo di concedere a chi viene dal paese governato da Maduro 24mila visti d’ingresso, per lo più a chi arriva in aereo o chi ha già parenti nel territorio.
È un numero risibile se si pensa che tra ottobre 2021 e la fine di quest’agosto 150mila persone con il passaporto del Venezuela sono state arrestate al confine tra Messico e Stati uniti.
LA MISURA NON HA AVUTO il risultato di ridurre il flusso di migranti: secondo i dati diffusi dal National Migration Service di Panama, nel 2022 sono già 211.355 i migranti che hanno attraversato il Paese diretti negli Usa, 59.773 solo lo scorso ottobre. Quasi tutti hanno passaporto venezuelano, ecuadoriano o haitiano. Ben 10.918 erano minorenni, ovvero il 18%, come denuncia l’Unicef. A questo va aggiunto che la situazione socio-economica del Nicaragua, irrigidita dalla nuove sanzioni Usa, sta aprendo le porte a un nuovo flusso migrante. Non è un mistero che proprio dal Nicaragua inizi, spesso, il viaggio migratorio di cubani e cubane.
NEL 2022 LE PATTUGLIE di frontiera statunitensi hanno fermato 2.766.582 persone. Ai primi tre posti ci sono persone provenienti da Messico (757.860), Guatemala (217.541) e Honduras (200.286). Al quarto, quinto e sesto posto però troviamo Cuba (197.870), Venezuela (155.553) e Nicaragua (146,331). Sono numeri che dicono tre cose, la prima è che le politiche anti-migratorie di Trump e Biden non stanno facendo altro che accrescere il numero di migranti che cerca di viaggiare verso gli Usa; la seconda è che l’impoverimento e la mancanza di sicurezza (fenomeni spesso accresciuti dall’imposizione del neoliberismo negli anni 70’–80′ o con il rimpatrio dei pandilleros detenuti negli Usa), generano disperazione e violenza e così aumentano le persone disposte a rischiare la vita per migrare; la terza è che nonostante le pressioni su Guatemala e Messico e la militarizzazione della risposta dei due paesi per bloccare i migranti, nonostante i controlli serrati ai confini meridionali statunitensi, la porosità delle frontiere rende impossibile fermare il flusso migratorio.
MARTEDÌ 15 NOVEMBRE il giudice federale Usa, Emmet Sullivan, ha bloccato il “titolo 42”, la norma con cui gli Stati uniti hanno espulso rapidamente migranti privi di documenti usando a pretesto la pandemia. Nella sentenza la norma è stata descritta come «arbitraria e capricciosa». L’articolo 42 è stato scritto, votato e applicato nel 2020 durante l’amministrazione Trump ma è stato mantenuto dal governo Biden. È la norma che ha permesso di rimandare in Messico, per motivi sanitari e senza processo, oltre 2 milioni di persone. Una norma d’emergenza, che ha solo moltiplicato i tentativi di attraversamento della frontiera.
Guardando alle recenti scelte in tema di pollitiche migratorie, pare stravagante la scelta dell’amministrazione Usa di legare alla sola migrazione venezuelana una normativa numerica precisa e stringente, mentre, per esempio, non solo non si è mai praticamente applicato l’articolo 42 a chi con passaporto del Nicaragua è stato fermato al confine, ma è anche stato permesso loro di fare richiesta d’asilo negli Usa dopo il fermo. Scelte che alimentano e rompono al tempo stesso la semplicistica narrazione secondo cui le politiche Usa avrebbero un occhio di riguardo per chi scappa da “paesi nemici”. con il fine politico di destabilizzarne i governi.
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