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Migranti, il governo non programma. Accoglienza nel caos

Migranti, il governo non programma. Accoglienza nel caosCentro accoglienza migranti a Settimo Torinese – LaPresse

Sindaci e associazioni all'attacco Biffoni (Anci): «Servono investimenti, il sistema rischia di crollare». Nelle città mancano i posti. Sindaci e associazioni all’attacco. Oltre 130mila i migranti accolti. Nel 2018 la capienza dei centri era di 170mila

Pubblicato circa un anno faEdizione del 18 agosto 2023

L’aumento degli sbarchi era evidente e non era difficile prevedere cosa sarebbe accaduto con l’estate. Eppure il governo Meloni, prigioniero delle retoriche che ha alimentato per anni, non ha fatto nulla per programmare l’accoglienza dei nuovi arrivati. Così oggi prefetti, sindaci e associazioni del terzo settore devono fronteggiare situazioni sempre più caotiche, che ricadono a cascata su migranti, residenti e istituzioni di prossimità.

LE SEGNALAZIONI si moltiplicano e sono trasversali agli schieramenti. A Padova il sindaco Sergio Giordani (centrosinistra) ha aperto tre palestre per trovare nuovi posti. Ad Ancona, uno dei porti dove il Viminale indirizza le navi Ong, il primo cittadino Daniele Silvetti (Fi) dichiara: «Non ci sottraiamo ai doveri dell’accoglienza ma le strutture sono sotto pressione».

«La situazione è disastrosa. Questa volta il sistema rischia veramente di crollare», attacca Matteo Biffoni (Pd), che guida la giunta di Prato ed è delegato immigrazione dell’Associazione nazionale comuni italiani (Anci). «Il governo avrebbe dovuto convocare da tempo sindaci e terzo settore. Non ha fatto nulla e continua a non fare nulla adesso che i posti sui territori sono pieni», continua.

Anche le associazioni alzano la voce e puntano il dito contro l’esecutivo. Da gennaio chiedevano al Viminale la convocazione del tavolo di coordinamento con ministeri, Anci e regioni. È arrivata solo ad agosto. «Avevamo detto chiaramente che senza programmazione ci saremmo trovati nel caos. Ma è proprio il caos che il governo vuole. I migranti per strada sono un capitale politico su cui le destre vogliono speculare», dice Filippo Miraglia, responsabile di Arci Immigrazione.

DIECI GIORNI FA il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha firmato una circolare per sfrattare dai centri coloro che hanno ricevuto una risposta positiva alla domanda di protezione internazionale. Pur non avendo in mano il documento, perché le questure ci mettono mesi a consegnarlo, dovranno uscire dai Centri di accoglienza straordinari (Cas) per far posto ai nuovi arrivati. Migliaia di persone, secondo le stime del terzo settore, finiranno sul marciapiede. «L’esecutivo doveva fare meno propaganda e più interventi: aprire centri di prima accoglienza adeguati a garantire dignità alle persone accolte e coesione sociale. Soprattutto doveva ampliare la rete Sai», dice Daniele Marchi (Pd), assessore a Welfare, bilancio e immigrazione del comune di Reggio Emilia.

La sigla Sai sta per Sistema d’accoglienza e integrazione (ex Sprar) e fa capo ai comuni. L’Anci aveva presentato un solo emendamento al dl Cutro chiedendo di istituire 4mila nuovi posti. Non solo è stato respinto, ma la norma ha reso l’accesso a queste strutture ancora più difficile. Così una parte dei posti resta vuota, mentre le lungaggini burocratiche rallentano l’apertura di nuovi progetti. All’interno del Sai sono ospitate circa 35mila persone. Altre 95mila si trovano nei centri governativi (+16mila dall’indizione dello stato di emergenza lo scorso aprile). In totale fanno oltre 130mila migranti.

Tanti, ma nel 2018, cioè prima dei decreti Salvini, la capienza del sistema era di 170mila posti scesi a 97mila nel 2021. Negli anni di diminuzione degli sbarchi i governi di ogni colore hanno mantenuto una gestione dell’accoglienza di tipo emergenziale. Intanto nelle questure le attese per ricevere l’esito della domanda di protezione internazionale sono ormai fuori controllo: dalla richiesta passano anche tre anni, con le persone che spesso restano parcheggiate nei centri. Così le emergenze si sommano e si producono a vicenda.

UNA A PARTE riguarda i minori stranieri non accompagnati che necessitano, dopo i traumi della separazione dalle famiglie e quelli vissuti durante il viaggio, di strutture e professionisti adeguati. «A Cremona ne abbiamo avuti in carico fino a 300. Adesso continuano ad arrivare dal centro regionale ma la situazione è già sovraccarica», spiega Gianluca Galimberti, sindaco Pd della città lombarda. Dall’inizio dell’anno in Italia ne sono sbarcati 10mila. «È un fenomeno strutturale che va affrontato come tale. Servono strumenti per formare questi giovani al nuovo contesto di vita», afferma.

«CAPISCO L’IMBARAZZO di chi per anni ha promesso blocchi navali e stop sbarchi ma ora è il momento di tirare fuori i soldi e invogliare gli operatori ad aprire nuove strutture. Il governo ci convochi», taglia corto Biffoni.

ERRATA CORRIGE

Nell’articolo uscito in versione cartacea è stata fatta confusione tra il tavolo di coordinamento tra associazioni, ministeri, Anci e regioni e il Tavolo asilo e immigrazione, che riunisce numerose associazioni che si occupano di immigrazione. Ci scusiamo con i lettori.

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