Migranti, accordo con Merkel per un nuovo patto con la Turchia
Draghi a Berlino in vista del vertice di giovedì. Ma sui ricollocamenti ancora nulla di fatto
Draghi a Berlino in vista del vertice di giovedì. Ma sui ricollocamenti ancora nulla di fatto
Su una cosa, più di altro, Mario Draghi e Angela Merkel si sono trovati d’accordo nell’incontro che hanno avuto ieri a Berlino: la necessità di arrivare a un modello di gestione dei migranti che coinvolga di più i Paesi di origine e transito e pesi sempre meno sull’Europa. Quella che i due leader europei hanno definito «la dimensione esterna della migrazione», eufemismo che delinea sempre più la strategia con cui l’Unione europea punta a bloccare i flussi di coloro che attraversano il Mediterraneo.
Non a caso ieri proprio Draghi ha confermato la volontà del governo italiano di riproporre quello che è considerato il modello scuola, quell’accordo con la Turchia di cui nel 2016 fu artefice proprio la cancelliera tedesca e che, oggi, il premier italiano – dimenticato quel «dittatore» con cui solo tre mesi fa etichettò il presidente Erdogan – ripropone facendolo proprio, quasi come un passaggio di testimone tra i due nel ruolo di leader dell’Unione europea. «L’Italia è favorevole a rinnovare l’accordo con la Turchia sulle migrazioni», conferma il premier al termine del vertice tedesco. E dopo la Turchia, lo stesso accordo – soldi in cambio di frontiere serrate – si intende proporre anche ad altri, a partire da Libia, Tunisia e Marocco.
I soldi ci sono, e non sono pochi: otto miliardi di euro, pari a circa un decimo dei 79,5 miliardi che la Commissione europea ha destinato per la gestione delle partnership con i Paesi terzi. Di questi è plausibile che almeno sei – stessa cifra stabilita cinque anni fa – saranno destinati ad Ankara, ma l’impegno finanziario è destinato ad ampliarsi. Draghi lo dice chiaramente, indicando la direzione lungo la quale dovrà muoversi Bruxelles: serve, spiega, «una maggiore presenza dell’Ue in Nord Africa, non solo in Libia e Tunisia, ma anche nel Sahel, in Mali, Etiopia ed Eritrea. Occorre che l’Ue sia economicamente più sentita».
Quanto questo sia vero lo si capirà presto, a partire già da domani quando, sempre a Berlino, si terrà la seconda conferenza internazionale sulla Libia. Anche su questo punto Merkel e Draghi stanno bene attenti a sottolineare una convergenza di vedute: «Sulla Libia sosteniamo il processo di Berlino, che dovrebbe vedere un maggiore impegno dell’Ue, non solo dei singoli Paesi, in quell’area» afferma Draghi, ricevendo in cambio i ringraziamenti della Merkel per il lavoro svolto dall’Italia «per una soluzione politica in Libia».
Tutto bene dunque? No. I risultati raggiunti ieri saranno al centro del Consiglio europeo di giovedì e venerdì prossimo voluto da Draghi proprio per discutere di immigrazione, ma saranno anche l’unico punto in comune tra i 27 leader. Sul resto, infatti, le distanze restano abissali a partire proprio dalle questione che più sta a cuore al premier come i ricollocamenti di quanti arrivano non solo in Italia, ma anche in Spagna, Grecia, Malta e Cipro, i Paesi che si affacciamo sul Mediterraneo e che sono quelli maggiorente investiti dal fenomeno migratorio. Punto sul quale gli altri Stati invece non vogliono neanche aprire la discussione. Germania compresa, tanto più in vista delle elezioni. Al punto che Draghi è costretto ad ammettere che sui ricollocamenti «si sta discutendo, i negoziati prenderanno del tempo». E la cancelliera tedesca non perde l’occasione per rimarcare come Italia e Germania abbiamo priorità diverse. «L’Italia è una Paese di arrivo, noi invece siamo colpiti da movimenti secondari», spiega la cancelliera facendo riferimento ai cosiddetti dublinanti, i migranti che dopo essere sbarcati da noi si sono mossi verso il Nord Europa. E che adesso Berlino, ma anche Parigi, insistono perché l’Italia li riprenda.
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