Miele: «La nostra proposta premia la trasparenza e la chiarezza delle scelte»
Intervista La consigliera di Magistratura democratica al Csm sul nuovo testo unico delle nomine giudiziarie: «La magistratura deve essere capace di riformarsi da sola prima che intervenga qualcuno da fuori a farlo. C’è l’esigenza di recuperare autorevolezza»
Intervista La consigliera di Magistratura democratica al Csm sul nuovo testo unico delle nomine giudiziarie: «La magistratura deve essere capace di riformarsi da sola prima che intervenga qualcuno da fuori a farlo. C’è l’esigenza di recuperare autorevolezza»
«La magistratura deve essere capace di riformarsi da sola prima che intervenga qualcuno da fuori a farlo». Domenica Miele, consigliera al Csm di Magistratura democratica, è firmataria insieme a Michele Forziati di Unicost della cosiddetta «Proposta 2» per la riforma del testo unico sulla dirigenza giudiziaria: parametri più chiari per le nomine dei vertici dei vertici delle procure e maglie più strette nelle scelte.
«Da parte di tutti c’è l’esigenza di recuperare l’autorevolezza delle scelte giudiziarie – dice Miele al manifesto -, non solo rispetto ai cittadini ma anche rispetto agli stessi magistrati».
Come?
La proposta che abbiamo fatto punta a rendere il più possibile prevedibili le decisioni del consiglio. L’esigenza di rendere chiare e trasparenti le decisioni del consiglio in tema di nomine, del resto, era già nel programma elettorale di Magistratura democratica e questa necessità di riformare il testo unico mi pare un’occasione eccellente per farlo. Di fatto significa recuperare un modello di magistratura orizzontale all’interno della quale ci si distingue per la funzione che si ricopre: è quello che già pensavano i nostri padri costituenti.
La questione delle nomine giudiziarie, in effetti, è quella che più sembra interessare l’opinione pubblica quando si parla del Csm.
C’è molta enfasi su questo e bisogna abbassarla: le nomine ovviamente non sono l’unica attività del Csm, la cui funzione principale è un’altra, cioè la tutela dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura. Tutto questo spesso passa in secondo piano perché si parla quasi solo delle nomine. Per questo attribuire dei pesi diversi ai diversi parametri di valutazione rende maggiormente prevedibile e maggiormente leggibile dall’esterno quello che accade.
Oltre alla riforma Cartabia, che imponeva al Csm di rivedere la valutazione e la comparazione dei candidati, la magistratura negli ultimi anni è stata toccata dal caso Palamara, che pure ha gettato qualche ombra sulle nomine.
Bisogna prendere atto che sono successe delle cose gravi, che bisogna fare autocritica e rimediare agli errori del passato. Serve maggiore trasparenza proprio per far sì che storie del genere non si ripetano.
Chi critica la vostra proposta dice che così si svilisce la discrezionalità del Csm.
Ma non è vero. La nostra proposta al contrario esalta la discrezionalità e la innalza a un piano valoriale. Attribuire dei valori ai parametri che servono a scegliere la dirigenza giudiziaria significa portare la discrezionalità su un piano più alto, perché si esprime a monte delle nomine. Significa calibrare tutto sulle singole professionalità, anteponendo i valori alle persone. Si tratta di un meccanismo molto trasparente e anche di un passo avanti culturale per la magistratura: dalla riforma Castelli in poi è passato il concetto che sia fondamentale per un magistrato avere un posto direttivo o semidirettivo, come se esercitare le funzioni ordinarie fosse un compito di poco valore. È il momento di rivedere anche questo concetto.
Il consiglio però è diviso: al Plenum arriveranno due proposte molto diverse tra loro.
Vedremo come andrà a finire. A parte Ernesto Carbone, che ha votato per la proposta di Magistratura Indipendente e Area, l’altra laica della Commissione, Claudia Eccher, si è astenuta. Ancora insomma non si sa come si posizioneranno i consiglieri non togati. Per me, al momento, l’importante è lanciare il messaggio che cambiare si può e che la magistratura è in grado di farlo, pur preservando la discrezionalità del consiglio, che va sempre difesa.
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