Cascina Spiotta, 50 anni dopo un nuovo processo agli ex Br
Storia senza fine Nella sparatoria morirono Cagol e il carabiniere D’Alfonso. Prima udienza a febbraio
Storia senza fine Nella sparatoria morirono Cagol e il carabiniere D’Alfonso. Prima udienza a febbraio
A quasi cinquant’anni di distanza dai fatti, ci sarà un nuovo processo per la sparatoria di Cascina Spiotta, avvenuta in provincia di Alessandria il 5 giugno del 1975 e durante la quale persero la vita la brigatista Mara Cagol e il carabiniere Giovanni D’Alfonso. Il rinvio a giudizio depositato ieri dalla gip di Torino Ombretta Vanini riguarda gli ormai ottuagenari ex Br Mario Moretti, Renato Curcio e Lauro Azzolini. Non luogo a procedere per un quarto, Pierluigi Zuffada, il cui reato «concorso anomalo in omicidio» è prescritto.
La Dda piemontese ha riaperto il caso dopo un esposto del figlio di D’Alfonso che chiedeva di dare un nome e un volto a uno dei partecipanti alla sparatoria. Per chi indaga si tratterebbe di Azzolini. Il caso di Cascina Spiotta, in realtà, era già stato abbondantemente indagato e c’era già stato un processo. La sentenza, però, è andata perduta con l’alluvione che colpì il Piemonte nel 1994 e allora ecco che tutto ricomincia da capo. Sembra assurdo, ma è proprio così che sono andate le cose.
La prima udienza del nuovo processo, dunque, è stata fissata per il 25 febbraio prossimo alla Corte d’Assise di Alessandria. Lo scontro a fuoco tra carabinieri e Br avvenne nel contesto del rapimento dell’imprenditore Vittorio Vallarino Gancia da parte dei brigatisti. Secondo i pm Ciro Santoriello ed Emilio Gatti, che hanno coordinato le indagini del Ros, a sparare sarebbe stato Azzolini che poi sarebbe fuggito dalla Spiotta.
Resta ancora un nodo sull’ammissibilità delle intercettazioni disposte a carico di Azzolini: a scioglierlo dovrà essere la Corte di Alessandria. Il suo avvocato, Davide Steccanella, che da mesi segnala valanghe di presunte violazioni nella procedura e che dopo il rinvio a giudizio si affida a una metafora manzoniana: «È evidente che la storia, qui a Torino, è al contrario delle nozze fra Renzo e Lucia: quel matrimonio non s’aveva da fare, mentre questo processo s’ha da fare. Nonostante sia del tutto nullo». Secondo le parti civili, sostenute dall’ex giudice Guido Salvini e da Nicola Brigida, «il processo esprime un desiderio certo non di vendetta, ma di verità e di giustizia».
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