«Mickey and the Bear», padre e figlia nel racconto crudele della giovinezza
Cannes 72 Nella selezione di Acid il debutto alla regia di Annabelle Attanasio, un'adolescenza difficile nella provincia americana
Cannes 72 Nella selezione di Acid il debutto alla regia di Annabelle Attanasio, un'adolescenza difficile nella provincia americana
Gli spazi immensi del Montana, la sua natura selvaggia, irrompono in tutta la loro maestosità sullo schermo solo per brevi momenti: Mickey and the Bear – il debutto alla regia dell’attrice Annabelle Attanasio presentato al Festival di Cannes nella selezione di Acid – resta principalmente negli spazi angusti dove è confinata, concretamente e metaforicamente, la protagonista Mickey (Camilla Morrone) che ha appena compiuto 18 anni.
RESTA sullo sfondo, appena suggerita, anche la vicenda personale di suo padre Hank (James Badge Dale), uno dei tanti reduci americani tornati dalla guerra (è stato in missione in Iraq) irrimediabilmente compromessi da una sindrome post traumatica che ne ha cambiato per sempre l’esistenza. Dipendente dai farmaci, alcolizzato, depresso, Hank è accudito dalla figlia in tutto: è lei a lavorare, cucinare, andare a prendere il padre al distretto di polizia quando finisce in cella per le sue risse notturne. Ma ad Attanasio non interessa fare il ritratto di un reduce, la descrizione degli effetti della guerra e della morte su chi le ha conosciute da vicino: Mickey and the Bear si concentra piuttosto sul rapporto – allo stesso tempo di morbosa dipendenza e percorso da profondo amore – di un padre e una figlia, e sulla figura della stessa Mickey.
CHE NON È raccontata solo nella relazione totalizzante con il padre, ma osservata con amore nel mosaico di sentimenti e irrequietezza dell’adolescenza – che lei non può vivere liberamente ma che nondimeno attraversa piena di speranza, insicurezze, sogni e aspirazioni, che si scontrano con il senso di colpa e responsabilità nei confronti di un padre destinato a farle del male.
Il bar, la povera roulotte dove vivono Hank e Mickey, il ristorante di terz’ordine dove lei e il padre vanno a festeggiare il suo diciottesimo compleanno: tutto incombe sulla protagonista e il paesaggio si «apre» e sembra farla respirare solo quando è con Wyatt (Calvin Demba), ragazzo londinese trasferitosi in Montana per stare con i nonni materni, ma che a breve si trasferirà a San Francisco per studiare musica.
Anche Mickey è stata accettata in un’università, a San Diego – ma questo significherebbe abbandonare Hank al suo destino. Il rapporto «disfunzionale» tra loro due è però in fondo il pretesto per raccontare una versione più estrema e cupa di una storia di formazione universale, sulla necessità di trovare e intraprendere la propria strada – non troppo distante da quella recentemente raccontata da Debra Granik nel suo Senza lasciare traccia, incentrato anch’esso sul rapporto difficile fra un padre e sua figlia.
«LA DICOTOMIA fra doveri familiari e crescita personale è qualcosa che volevo raccontare da tanto tempo» racconta Attanasio, che aggiunge infatti di essersi basata sulla sua esperienza personale. Nella storia della «sua» Mickey, anche grazie all’interpretazione di Camilla Morrone, si intravedono in controluce tutta la bellezza e la crudeltà della giovinezza.
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