Un piccolo quaderno con le pagine bianche:è il gadget di Le livre des solutions il nuovo film di Michel Gondry, presentato alla Quinzaine des Cineastes. Ma quali sarebbero queste soluzioni? Di fatto, sembrano suggerirci il quadernino e soprattutto il film non ci sono, o almeno non valgono allo stesso modo per tutti, ciascuno dovrà cercarle e forse trovarle e non è detto che siano le migliori possibili. E tantomeno che funzionino. Perle di saggezza. O piuttosto la nevrosi egotico-depressiva che risucchia in un crescendo il protagonista di questa storia, Marc, un giovane regista in crisi (Pierre Niney) nel quale non è difficile vedere un riflesso autobiografico di Gondry, anche se rispetto al personaggio, un millennial sull’orlo del perenne crollo nervoso è oggi un sessantenne.L’idea dell’eterno adolescente è però già lì dai tempi dei suoi esordi, negli anni Novanta, con i videoclip di Bjork, Daft Punk, Neneh Cherry che hanno fatto storia, così come il primo film, Se mi lasci ti cancello (2004) struggente groviglio di emozioni divenuto quasi un manifesto generazionale, a cui segue due anni dopo, L’arte del sogno.
Microbe&Gasoil, l’ultimo suo lavoro per il grande schermo era otto anni fa, un tempo lungo nel quale però Gondry ha fatto molto altro, una serie, Kidding con Jim Carrey, delle animazioni, dei nuovi videoclip.

La redazione consiglia:
Michel Gondry, un giocoliere digitale dal cuore analogicoI FILM hanno bisogno di tempo e in questo periodo non ho mai smesso di pensarne dei nuovi ha detto in una intervista a Le Monde. Proprio come accade al suo personaggio – sommerso da un flusso di idee che lo attraversano costantemente distraendolo dal lavoro su cui dovrebbe concentrarsi: il suo nuovo film.Le idee per il film non ci sono, così il giovane cineasta Marc si rifugia dall’amata zia

LA PRODUZIONE glielo ha bocciato e vuole togliergli il montaggio, Marc si dilegua e porta via il materiale rifugiandosi dalla amata zia nelle Cévennes– la luminosa Françoise Lebrun, presenza che solleva ogni film in cui appare – accompagnato dalla montatrice e dall’organizzatrice,tutte donne accudenti tranne un assistente al montaggio che lui detesta perché tossisce sempre. Lì il suo isterismo si fa sempre più fastidioso, se non paradossale, forse perché ha smesso di colpo di prendere gli psicofarmaci che lo contengono, tiranneggia tutte e tutti, è arrogante, aggressivo, dispotico, stupido. Tutto persino comprare un vecchio rudere in mezzo alla campagna è meglio che visionare il film e prendere una decisione qualsiasi. Intanto continua a scusarsi di continuo per le sue sparate, le persone intorno sono sempre più esasperate pure se continuano a accudirlo, neppure la giovanissima ragazza di cui si è innamorato sembra sopportarlo.
È che ha paura, è bloccato, non ce la fa proprio a mettersi lì con la testa meglio continuare a fuggire, pensare a un altro film, improvvisarsi direttore d’orchestra, sindaco addirittura in un delirio che lo immagina sfidare a colpi di pistola il produttore che lo è venuto a cercare, arrivando a trattare male pure l’amatissima zia. I piani si confondono, incubi, fantasie, vero falso, in una radiografia della depressione che si immerge nella testa del protagonista.

SIAMO però lontani dalla meraviglia dell’esordio, l’auto-finzione della crisi di un maschio terrorizzato da ogni assunzione di responsabilità (compreso il capitolo «paternità») nonostante le intenzioni manca di grazia, e poco aggiunge termini cinematografici alla poetica del regista, che in questo suo nuovo mettersi in gioco sembra avere perduto lo stupore e la dolcezza delle sue invenzioni. Applauditissimo con molte risate in sala, a dimostrare che il «marchio» Gondry funziona sempre. Suo malgrado.