Visi lugubri, ieri nel tardo pomeriggio a Strasburgo, all’inizio della riunione plenaria dell’Europarlamento. Il Qatargate, scoppiato venerdì e gonfiato nel fine settimina, sta scuotendo tutte le istituzioni della Ue. E’ esploso nell’anello più debole e per di più quasi esclusivamente a sinistra, tra i socialisti, con effetti dirompenti tra le ong umanitarie (due sono implicate: Fight Impunity e No Peace without Justice, che ha padrini eccellenti, sono membri onorari l’ex Mrs.Pesc, Federica Mogherini, l’ex primo ministro socialista francese, Bernard Cazeneuve, l’ex commissario Dimitris Avramopulos, Emma Bonino).

IERI È STATO PERQUISITO il Parlamento europeo, dove ssarebbero stati sigillati alcuni uffici (tra questi quello dell’eurodeputato Pd Andrea Cozolino). L’inchiesta è stata fatta dalla polizia belga, mentre nessuna struttura della Ue finora si era mai inquietata delle derive di corruzione, di quello che per molti potrebbe essere «la punta dell’iceberg» e nascondere vergogne molto più diffuse. Quattro persone sono in stato di arresto, la più significativa è quella della greca Eva Kaili, una dei 14 vice-presidenti del Parlamento europeo (è in carcere, l’immunità parlamentare non ha giocato perché è stata presa con le mani nel sacco, piene di banconote). Per il momento, è stata sospesa dalla carica, ma per dimetterla ci vorrà un voto con una maggioranza dei due terzi (l’Autorità greca indipendente contro il riciclaggio ha congelato i suoi beni, mentre il Pasok l’ha esclusa, come il gruppo S&D). Il Qatar aveva particolare interesse a fare pressione sull’Europarlamento alla vigilia della World Cup, sicuro di poter trovare orecchie sensibili, tanto più in un periodo di crisi energetica, con Doha molto sollecita a fornire Gnl agli europei affamati di energie fossili.

IERI, IN UNO STATO di precipitazione, la presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola, che nel fine settimana ha dovuto tornare in fretta a Bruxelles per assistere alle operazioni di polizia (come vuole la legge belga), ha convocato in una riunione informale i presidenti dei gruppi parlamentari. Per Metsola, «la democrazia europea è sotto attacco» e promette un’inchiesta interna. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha affermato in mattinata che i sospetti di corruzione sono «molto gravi», si tratta di «sospetti estremamente preoccupanti», perché la relazione tra cittadini e la Ue «è questione di fiducia nelle persone al cuore delle nostre istituzioni. Questa fiducia suppone standard elevati di indipendenza e di integrità». Ma anche la Commissione ha le sue colpe: da tempo aspetta in fondo ai cassetti di diventare realtà la proposta di creare un’autorità indipendente sulle questioni etiche. L’Alto Rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, si è detto «molto preoccupato» e assicura che segue l’inchiesta passo dopo passo. Reazioni anche da molte capitali. La ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, dopo aver parlato di scandalo «incredibile», che «adesso deve essere elucidato senza equivoci e sulla base della legge». Per Baerbock «ci va di mezzo la credibilità della Ue». La presidenza ceca del Consiglio parla di «corruzione inaccettabile».

RISATE DA BUDAPEST: «Ciao Parlamento» ha detto Viktor Orban, scatenato, che ha pubblicato una foto di Reagan e Bush ilari, con un testo polemico, «qui ecco che hanno detto che erano davvero preoccupati per la corruzione in Ungheria» (il Parlamento ha votato sulla corruzione in Ungheria e la Commissione sta bloccando il versamento di più di 13 miliardi per i finanziamenti del Piano di rilancio e dei Fondi di coesione).

COSTERNAZIONE tra gli eurodeputati. La maggior parte dei sei indiziati di aver preso parte a un «sistema di corruzione a vantaggio di uno stato del Golfo» (la giustizia belga non ha specificato) sono deputati o ex, o assistenti, appartenenti in maggioranza al gruppo S&D (socialisti). Come gli italiani Pier Antonio Panzieri (deputato fino al 2019): la presenza di ex parlamentari tra i presunti corrotti è significativa, difatti all’Europarlamento questi ex continuano a sfruttare le loro relazioni e a operare nella più grande oscurità, senza nessuna regola da rispettare. Tra gli indiziati c’è anche il sindacalista Luca Visentini, che è stato alla testa della Ces e dal mese scorso era stato nominato segretario generale dell’International Trade Union Conference, istituzione che è stata un’eccezione tra i sindacati europei, perché ha rifiutato di condannare il Qatar per il non rispetto del diritto dei lavoratori (una posizione presa già prima del suo arrivo).

«SONO FUORI DI ME perché quando si fa correttamente il proprio lavoro al parlamento europeo, vedere queste attitudini che portano discredito a tutti, fa male», ha detto il deputato verde David Cormand, riassumendo un’opinione ampiamente condivisa. Manon Aubry, della Left, che ha difeso una risoluzione di condanna del Qatar per il non rispetto dei diritti durante i lavori per la Coppa del Mondo, sospetta: «io andrei anche a interessarmi della destra, perché il Ppe è sulle stesse posizioni di S&D sul Qatar». Difatti, tre settimane fa, al difficile voto sulla risoluzione sul Qatar un bel gruppo di S&D ha votato contro (tra cui anche la presidente, Iratxe Garcia Perez) e solo una dozzina a favore. I gruppi dei Verdi, Renew e Left avevano rifiutato un incontro sollecitato dall’ambasciatore del Qatar, accettato invece dagli altri partiti presenti all’Europarlamento.

IL QATARGATE È UNO SCOSSONE. Già a brevissimo tempo, dovrebbe essere escluso un voto, che era previsto, per abolire i visti dei cittadini del Qatar che vengono nello spazio Schengen per meno di 90 giorni (già approvato nella commissione «libertà civili» con il voto di alcuni oggi incriminati). Dovrebbe anche essere annullata la tappa a Doha di alcuni europarlamentari nel Golfo, prevista tra due settimane. Ma in seguito l’Europarlamento dovrà fare i conti con il peso delle lobby e dei conflitti di interesse. Transparency International afferma di «non essere sotto choc» per lo scandalo: «sono dieci anni che lavoriamo sull’etica e sulla deontologia, ma non ci ascoltano». A Bruxelles esiste un «registro» delle lobby, a cui dovrebbero iscriversi tutti coloro che intervengono nelle istituzioni. Ma questo registro, oltre a non essere obbligatorio per il Parlamento, non si applica ai paesi terzi non Ue. Cioè, stati esteri possono fare pressione sotto traccia, come è successo con il Qatar.

IL COMMISSARIO ALLA GIUSTIZIA, Didier Reynders, si è impegnato ieri a «rendere molto più forti le regole per lottare meglio contro la corruzione».