Internazionale

Metodo Ortega, 135 prigionieri politici dalla cella all’esilio

Città del Guatemala, 5 settembre, l'arrivo di alcuni dei prigionieri politici scarcerati in NicaraguaCittà del Guatemala, 5 settembre, l'arrivo di alcuni dei prigionieri politici scarcerati in Nicaragua – Ap

Nicaragua Privati della cittadinanza e deportati a sorpresa lo scorso fine settimana «per ragioni umanitarie» in Guatemala

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 10 settembre 2024

Sono 135 i prigionieri politici nicaraguensi deportati a sorpresa lo scorso fine settimana «per ragioni umanitarie» in Guatemala e al contempo privati della cittadinanza. Vanno ad aggiungersi ai 222 spediti negli Stati Uniti lo scorso febbraio, ma anche ai due vescovi e alle decine di sacerdoti che negli ultimi mesi dal carcere sono stati imbarcati direttamente su un volo per Roma.

Tutto è nato stavolta, nel mezzo della persecuzione religiosa, dalle pressioni di membri del Congresso Usa per la detenzione in Nicaragua di 13 pastori dell’organizzazione evangelica Puertas de Montaña (con sede nel Texas) accusati di presunto riciclaggio. Ne è nata una negoziazione direttamente fra Managua e la Casa Bianca (col segretario di stato Antony Blinken) che ha portato alla loro liberazione, stavolta accolti dal presidente guatemalteco progressista Bernardo Arevalo. Cui a sorpresa il regime di Daniel Ortega ha aggiunto altri 122 detenuti, che potranno ora eventualmente dislocarsi come rifugiati negli Usa (o in Costarica e Spagna).

Si sta convertendo dunque in una pratica ordinaria in Nicaragua lo sbarazzarsi dalle proprie galere dell’ingombro di qualsiasi tipo di oppositore o pseudo tale. Sapendo comunque che i più resteranno in silenzio nel timore che i loro familiari finiscano dentro. O che vengano confiscati di ogni loro bene in patria, come ha formalizzato la recente riforma del codice penale.

Al contempo in questo modo l’autocrazia nicaraguense può contare su una sorta di benevolenza di Washington che si limita a seppur severe sanzioni ad personam nei confronti del clan orteguista; senza per questo espellerla dal prezioso Cafta, il trattato di libero commercio fra Usa e i paesi dell’istmo centroamericano. A differenza dell’ultrasessantennale feroce embargo che sta riducendo Cuba alla fame; per di più inclusa nella lista dei paesi terroristi. Mentre il Nicaragua ospita da tempo «senza colpo ferire» la base radar e di spionaggio russa del Cerro Murukuku.

La gran parte di questi ultimi liberati/esiliati sono giovanissimi. Fra essi molti cattolici praticanti che avevano preso le parti dei due vescovi arrestati; o disobbedito alla proibizione di partecipare a processioni all’aperto. Così come coloro che, all’opposto, festeggiarono nel novembre scorso l’incoronazione della connazionale Sheynnis Palacios a Miss Universo (che da allora non ha più potuto tornare a casa). Compresi i due muralisti che ne avevano dipinto il viso per le vie della cittadina settentrionale di Estelì.

In compenso nessuno degli indigeni e guardiaboschi miskitos della Costa Atlantica recentemente imprigionati è stato rilasciato. Anzi, di alcuni/e di loro non si sa neppure dove siano finiti. Secondo le organizzazioni per i diritti umani dell’Onu sarebbero attualmente una trentina i reclusi rimasti e che sperano in un futuro rilascio.

Nel frattempo la copresidente Rosario Murillo, ha disposto la perseguibilità di qualsiasi nicaraguense nonché straniero che commetta anche all’estero reati che violino le leggi locali. Oltre a dare amplia libertà di iniziativa alle forze di polizia senza che debbano attendere un mandato dal sistema giudiziario. Mentre, nella sua paranoica diffidenza verso gli stessi apparati del regime, la consorte di Ortega ha rimosso il primo dei 21 generali dell’esercito, Rigoberto Balladares, a capo del servizio di spionaggio militare.

Da ultimo, dopo la cancellazione di tutte le ong nazionali non subordinate allo stato, ha messo fuori legge anche quella internazionale di Save the Children. Per un totale, dalla rivolta popolare repressa nel 2018, di 5.163 entità.

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