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Messico, una carovana migrante contro la crisi umanitaria

Messico, una carovana migrante contro la crisi umanitariaUna foto della carovana – AP

Immigrazione In 3.500 si sono messi in cammino in direzione del confine con gli Stati uniti per chiedere diritto al libero transito e giustizia per le 40 persone morte il mese scorso nell’incendio del centro di detenzione per migranti di Ciudad Juárez. La corruzione delle forze dell'ordine, le estorsioni di gruppi criminali e la miseria rendono gli spostamenti sempre più letali

Pubblicato più di un anno faEdizione del 30 aprile 2023
Caterina MorbiatoTAPACHULA, MESSICO

«Tapachula è un carcere a cielo aperto», mi dice Danny Turcio, honduregno di trentotto anni. In questa città rovente, al confine tra Messico e Guatemala, Turcio ci è arrivato circa due mesi fa, abbandonando la sua casa di Tegucigalpa per sfuggire alla morsa delle estorsioni che gli venivano imposte sia dalla polizia come dalle gang Mara Salvatrucha 13 e Barrio 18.

Migranti si cuciono la bocca per protesta – foto AP

Sono le due del pomeriggio di domenica 23 aprile. Siamo nel paesino di Álvaro Obregón, nello Stato del Chiapas. Danny Turcio non è l’unico honduregno ad essere qui oggi: lo accompagnano centinaia di altri connazionali che, come lui, hanno deciso di lasciarsi alle spalle Tapachula per unirsi alla Carovana migrante Via crucis e cercare di avvicinarsi, anche se solo per una manciata di chilometri, agli Stati Uniti. La carovana, organizzata dall’associazione per i diritti umani Pueblo Sin Fronteras, è partecipata anche da persone provenienti da Venezuela, El Salvador, Nicaragua, Sudan, Cina e altri paesi del mondo. Sono in circa 3.500 ad essersi messi in cammino chiedendo il diritto al libero transito e giustizia per le 40 persone morte il mese scorso nell’incendio del centro di detenzione per migranti di Ciudad Juárez. Nel 2021 gli arrivi di persone migranti al confine meridionale del Messico sono aumentati esponenzialmente, con quasi 90 mila domande di riconoscimento dello status di rifugiato registrate nella sola Tapachula dalla Commissione messicana per l’assistenza ai rifugiati (COMAR). Tuttavia, le procedure delle autorità di migrazione procedono troppo lentamente e migliaia di persone rimangono intrappolate a Tapachula in condizioni difficili, con accesso limitato ai servizi di base come cibo, acqua e alloggio. Rischiano inoltre di cadere vittime di reti criminali che sfruttano la vulnerabilità di coloro che fuggono da crisi politiche, economiche e di sicurezza nei loro Paesi d’origine.

«NON HO MAI CREDUTO nelle carovane», continua Turcio, e mi spiega che ha deciso di unirsi a questa marcia collettiva dopo aver calcolato che la sua procedura di immigrazione sarebbe potuta durare fino a settembre. «Il sistema è molto lento. Se perdo il lavoro, come sopravvivo? Il governo non investe più fondi per accelerare le pratiche». A differenza di molti altri migranti, Turcio ha avuto la fortuna di trovare lavoro come stagionale in una piantagione di mango dove caricava casse da 70 kg per 12 ore al giorno. Con quello che gli pagavano, circa 300 pesos (15 euro) a giornata, non riusciva però a vivere un’esistenza degna.

Tapachula, l’entrata meridionale per eccellenza al territorio messicano, è una piccola città con un’antica storia migratoria. Nel 2006, in questa città dello Stato del Chiapas è stato inaugurato il centro di detenzione per migranti Siglo XXI, il più grande del Paese. Negli ultimi anni, sempre più persone di diverse nazionalità arrivano fino a qui per poi cercare di raggiungere gli Stati uniti. Percorrendo rotte infinite e pericolose —come il Tapón de Darién, la selva che segna il confine tra Colombia e Panama, una delle regioni più letali al mondo per i migranti— arrivano da Haiti, Kirghizistan e Camerun. C’è chi può dormire in hotel, comprare un permesso d’immigrazione —grazie alla corruzione sistemica che esiste nell’Istituto nazionale di migrazione — e andarsene rapidamente. La maggior parte dei migranti però rimane bloccata in questa «città trappola» per mesi, impiegata in lavori sottopagati, o vendendo empanadas di pollo e uova, taniche di gas o schede telefoniche in alcune piazze del centro storico.

 

La carovana in cammino – foto AP

«SONO IN QUESTA CAROVANA per evitare la corruzione che esiste in Messico. Mi sento più sicuro a viaggiare così, possiamo superare i posti di blocco migratori dove ti chiedono soldi o ti deportano», dice Jorge, un giovane originario dell’Ecuador. A Ventanas, una città della provincia de Los Ríos, Jorge era fornitore di legname. Con la sua attività poteva vivere in modo dignitoso. Quello che sta vivendo ora —un esodo iniziato quasi tre mesi fa attraverso sei Paesi— gli pesa addosso come un brutto sogno dal quale non riesce a svegliarsi. La vita di Jorge e della sua famiglia ha subito una brusca svolta quando gruppi criminali hanno iniziato a imporgli la vacuna, ovvero un’estorsione mensile. A partire dal 2022 in Ecuador l’estorsione ha registrato un aumento preoccupante e nei mesi recenti a Tapachula si è iniziata a registrare la presenza di sempre più persone provenienti da questo Paese. La frustrazione causata dal limbo legale spinge molte persone a lasciare Tapachula senza aver ottenuto i documenti migratori e ad affrontare una strada piena di difficoltà: assalti, posti di blocco migratori, estorsioni tanto da parte di gruppi criminali come delle autorità. Ecco perché l’annuncio della carovana, con volantini affissi in tutto il centro della città, ha attirato così tante persone. Spostarsi in carovana, come un corpo unico, non evita tutti i pericoli, ma garantisce un minimo di protezione. Avendo la possibilità di muoversi insieme a migliaia di altre persone e avendo sentito parlare dei lunghi tempi delle Comar, in questa città-carcere Jorge non ha voluto rimanerci nemmeno un giorno in più.

DOPO aver percorso più di 60 chilometri a piedi con temperature superiori ai 35 gradi, Jorge e Danny sono arrivati, insieme al resto della carovana, fino alla cittadina di Villa Comaltitlán. È qui che, dopo giorni di trattative, lo scorso giovedì l’Istituto nazionale di migrazione (INM) ha annunciato che rilascerà ai partecipanti della carovana un permesso per motivi umanitari affinché possano muoversi “in maniera regolare” nel territorio messicano per 45 giorni. La notizia della concessione dei permessi migratori è stata inizialmente festeggiata da coloro che hanno preso parte alla carovana migrante. Bisognerà ora vedere se i tempi per le pratiche saranno finalmente umani o se di nuovo la gente verrà intrappolata in un’asfissiante burocrazia. D’altra parte, lo scioglimento di questa camminata collettiva e sofferta —in cui, inoltre, un cittadino honduregno ha perso la vita— fa diminuire sia l’attenzione dei media sia la pressione sul governo di Andrés Manuel López Obrador in materia migratoria. Intanto, a un mese dalla tragedia di Ciudad Juárez, la giustizia langue. Per l’incendio era stato citato in tribunale Francisco Garduño, capo dell’INM. Garduño è stato però rilasciato questo mercoledì e rimarrà in carica nonostante le accuse contro di lui per l’esercizio improprio del servizio pubblico.

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