Messico, un muro di 6mila militari al confine con il Guatemala
America centrale Amlo fa marcia indietro e chiude le porte. E per evitare i dazi statunitensi si impegna a costruire nuovi centri di detenzione per migranti e altri posti di blocco. Ma a Trump non basta
America centrale Amlo fa marcia indietro e chiude le porte. E per evitare i dazi statunitensi si impegna a costruire nuovi centri di detenzione per migranti e altri posti di blocco. Ma a Trump non basta
Il Messico si accinge a fare il lavoro sporco per conto degli Stati uniti, mettendo decisamente tra parentesi il tanto sbandierato discorso sulla protezione dei diritti umani dei migranti e sulla fraternità universale.
È stato lo stesso ministro degli Esteri messicano Marcelo Ebrard, a capo della delegazione incaricata di negoziare con la controparte statunitense, a confermare la versione secondo cui il governo dispiegherà 6mila elementi della nuova Guardia nacional alla frontiera con il Guatemala: non un muro di cemento come quello tanto caro a Trump, ma una non meno devastante barriera militare.
Per supportare tale azione il governo di Amlo, secondo quanto ha rivelato il Washington Post, dovrà anche provvedere alla costruzione di ulteriori centri di detenzione per migranti e di altri posti di blocco finalizzati a ridurre il flusso di centroamericani in fuga dalla violenza e dalla povertà estrema dei rispettivi paesi, spesso e volentieri – e in maniera clamorosa nel caso dell’Honduras – provocate, mantenute e alimentate proprio dalle politiche statunitensi.
Non è tutto. Sempre secondo il Wp, si starebbe anche negoziando un piano regionale in base a cui i migranti centroamericani dovrebbero cercare asilo nel primo paese in cui entrano dopo aver lasciato le proprie case, di modo che gli Stati uniti potrebbero rispedire ogni guatemalteco in Messico e ogni salvadoregno e honduregno in Guatemala. Nient’altro che una variante della pretesa statunitense – sempre respinta dalle autorità del paese confinante – di imporre al Messico lo status di «paese terzo sicuro» dove rimandare tutti i richiedenti asilo.
Già annunciato invece da parte del governo il blocco dei conti di diverse persone e organizzazioni presumibilmente impegnate nel traffico di migranti e nell’organizzazione di carovane illegali dirette verso gli Stati uniti. Nulla di tutto questo però potrebbe essere sufficiente a placare il presidente Usa, scongiurando l’entrata in vigore, lunedì prossimo, dei dazi – inizialmente del 5%, ma con aumenti progressivi fino al 25% – su tutti i prodotti messicani.
In attesa degli sviluppi della terza giornata dei negoziati, la portavoce della Casa bianca Sarah Sanders ha assicurato che la posizione degli Usa non è cambiata: «Stiamo ancora procedendo verso l’applicazione delle tariffe». Dopotutto, come ha ricordato Trump con la sua abituale arroganza, «sono loro ad aver bisogno di noi, non viceversa».
Ma ci sono anche tanti, tra attivisti ed esperti, convinti che il governo messicano non dovrebbe affatto cedere alle pressioni Usa. Non solo perché, come ha evidenziato Vicente Sánchez, ricercatore del Colef (Colegio de la Frontera), i flussi migratori non si arrestano per decreto, ma anche perché il governo di Amlo ha già adottato in buona parte le misure richieste dagli Usa: ospitando, soprattutto a Tijuana e Ciudad Juárez, i migranti che attendono dalle autorità statunitensi una risposta alla loro richiesta di asilo, aumentando la vigilanza alla frontiera con il Guatemala e incrementando drasticamente le espulsioni, con tanti saluti all’originario approccio umanitario alla questione migratoria.
Intanto, Amlo si appella all’unità nazionale, annunciando per oggi, a Tijuana, un atto «in difesa della dignità» del paese oltre che, ebbene sì, «a favore dell’amicizia con gli Usa».
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