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Messico, oltre la telenovela

Messico, oltre la telenovelaUna raccolta di Veronica Castro

Storie/Opere ideate per cinema o tv, colme di musiche e azzardi visivi a cui hanno collaborato anche compositori nostrani

Pubblicato 9 mesi faEdizione del 13 gennaio 2024

Il cinema messicano è un universo pieno di musica, idee, follie, azzardi visivi e tanto divertimento. Conosciuto soprattutto per le telenovelas che, ad inizio anni Ottanta, spopolarono sulle nostre reti televisive minori aprendo le strade, sui canali maggiori, all’Argentina o al Venezuela con titoli ormai leggendari come Manuela, Topazio o La donna del mistero. Eppure nessuno di questi moderni feuilleton, questi romanzi strappalacrime filmati, ha avuto la stessa forza melodrammatica delle produzioni messicane. Basti pensare all’inedito Velo de novia, produzione del 2003-2004, con Susana González e Cynthia Klitbo. Quello che succede in 135 episodi è a volte così surreale da non avere termini di paragone, e non stupisce che questa produzione non sia mai sbarcata in Italia, con torture, omicidi e un gusto sadico, da vero horror gotico, nel punire la cattiva della serie, la crudele Raquela Villaseñor del Moral, costretta, nel finale, persino ad annaspare in una stanza lurida, coperta di bende e ferite ancora aperte, pasto di famelici topi mentre le note musicali si alzano sempre più come a commento di un vero film del terrore.
D’altronde la musica nelle telenovelas messicane non è solo un elemento di accompagnamento, ma svolge un ruolo essenziale nel racconto della storia. Può aiutare a stabilire l’atmosfera di una scena, a sottolineare momenti importanti o drammatici, e può anche essere utilizzata per rappresentare i sentimenti e le emozioni dei personaggi. Alcune di queste colonne sonore poi sono sopravvissute al crudele incedere degli anni resistendo all’appannaggio di trame sempre uguali e trascurabili. D’altronde cosa c’è di più immortale della musica? Non solo telenovelas, ma una sfilza di titoli, di generi, di icone del cinema. Il festival di Locarno 2023 ha dedicato una rassegna al cinema messicano, al regista René Cardona e al suo Batwoman (La Mujer Murcielago), un (non) cinecomix con l’italiana Maura Monti a combattere criminali ad Acapulco in reggiseno, mutandine e ovviamente mantello alla Batman. Una follia che però ha meritato un restauro che solo ai classici o ai grandi capolavori viene concesso.
Attraverso un pugno di titoli, i più iconici, sfila un cinema folle che nasconde proprio nella sua parte musicale le maggiori sorprese, a volte, come scopriremo, affidandosi a compositori italiani.

LA DIVA
Anche i ricchi piangono è stato un successo internazionale e in Italia lo abbiamo visto, per la prima volta, in ritardo di cinque anni, nel 1984, su Rete A. 248 puntate di circa 25 minuti, trasmesse in originale dal 9 aprile 1979 al 21 marzo 1980 su Canal de las Estrellas, la telenovela catturò l’attenzione di milioni di spettatrici (e spettatori) in fremente patimento per le disavventure amorose di Mariana Villareal per il viziato Luis Antonio (Luis Alberto jr nella versione originale).
Melodrammatico all’eccesso e pieno di colpi di scena scorretti, tipici del romanzo d’appendice popolare, Anche i ricchi piangono fu il veicolo per la diva Veronica Castro, fino ad allora solo attrice di belle speranze per film come El arte de engañar di Carlos Enrique Taboada del 1972 che la volevano spesso e volentieri svestita. In Italia Rete A non solo distribuì, tra le altre, El derecho de nacer, la telenovela subito successiva a Los ricos también lloran, come Mariana, il diritto di nascere per far pensare a un seguito, ma, nel 1985, produsse probabilmente la prima soap tutta italiana, Felicità… dove sei, con appunto la bella Castro in una messa in scena e una recitazione generale non dissimile purtroppo dai porno di Aristide Massaccesi dell’epoca. La sigla di apertura (Felicità) e di chiusura (Mi manchi) sono entrambe cantate in un ottimo italiano dalla stessa attrice, con testi e partitura, abbastanza anonimi, di Toto Cutugno.
Di diverso impatto musicale invece la colonna sonora di Anche i ricchi piangono, soprattutto Aprendí a llorar (Ho imparato a piangere), una canzone scritta da Lolita de la Colina che, malgrado il retrogusto di scialbo disco pop melodico, mette in bella mostra la voce di Castro, cantante interessante fino dal lontano 1973, anno del suo primo singolo, Tienes que volver.
In Italia, nella prima edizione di Rete A, però si preferì come sigla d’apertura la ormai iconica Come per magia, cantata da Alex Damiani, celebre attore di fotoromanzi, e, nella riedizione di Rete 4, a inizio anni Novanta, la meno incisiva I giorni di una vita di Michele Zarrillo.

I LOTTATORI
Il cinema messicano è una follia: coloratissimo, spinto, pieno di ritmo, figure femminili avvenenti e musiche ipnotiche. Si pensi al suo filone più celebre, quello dei luchador, i lottatori di wrestler mascherati, idoli delle folle sul palco e, di conseguenza, anche all’interno di deliranti film. El Santo (ma da noi è stato ribattezzato Argo) è il simbolo di queste pellicole, sorta di fumettoni nonsense nei quali gli atleti combattevano contro mostri, sgominavano intrighi alla 007 e davano calci nel sedere a icone horror come Dracula, interessati stavolta però più a palpeggiare belle ragazze che a cibarsi di loro. Renè Cardona ne è l’alfiere con un capolavoro pulp come Korang-La terrificante bestia umana (La horripilante bestia humana) del 1969 nel quale uno scienziato decide che per salvare il figlio malato di leucemia deve trapiantargli il cuore di un gorilla. L’operazione riesce ma il giovane si trasforma in uno scimmione stupratore senza, a dire il vero, molto senso logico.
Le musiche a opera di Antonio Díaz Conde sono incredibilmente efficaci, drammatiche e pompose, lente e maestose nella loro varietà di strumenti che si intersecano tra loro. Non differente come creatività è anche il figlio del regista, Renè Cardona Jr, autore di un cult sciagurato, Il triangolo delle Bermuda che faceva recitare John Houston con Gloria Guida. A fine carriera, nel 1992, il nostro girò uno sfortunato, ma interessante Terminator dall’inferno. Per le musiche Cardona Jr si rivolge all’italiano Daniele Iacono che scrive una straordinaria e azzardata partitura elettronica. Musicista in attività dal 1986, batterista percussionista, sessionman di livello internazionale, compositore, arrangiatore e insegnante, ha collaborato sia in studio che dal vivo con numerosi artisti come Biagio Antonacci o i Tiromancino. Nel 1992, come ci racconta, stava muovendo i primi passi nel mondo delle colonne sonore: «Fui contattato dalla Fono Roma che era uno studio di doppiaggio e di produzioni cinematografiche e mi dissero che Renè Cardona, regista messicano de Il Triangolo delle Bermude, un autore a tutto tondo, molto eclettico, mi aveva cercato. Io lo conoscevo e mi piacevano i suoi film, soprattutto i suoi thriller, e ne fui molto lusingato, ma anche molto sorpreso perché si trattava di un regista di fama internazionale. Io all’epoca suonavo la batteria con Jovanotti. E questo lo si percepisce nella mia colonna sonora che presenta molti elementi percussivi. Feci per l’occasione un misto di elettronica e acustica».
Questo film rappresenta, a suo modo, un incredibile viaggio tra musica e immagini, tra creatività e follie narrative che hanno reso famoso in tutto il mondo questo incredibile cinema, e che, alcune volte, come nel caso di Terminator dall’inferno ma anche de Il pupazzo con Lando Buzzanca, hanno unito due culture, solari e passionali, come l’Italia e il lontanissimo Messico.

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