Messico, la stampa in trincea
Gloria Muñoz Ramírez
Internazionale

Messico, la stampa in trincea

Intervista Gloria Muñoz Ramírez, giornalista e scrittrice
Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 5 luglio 2017

Gloria Muñoz Ramírez, giornalista e scrittrice messicana, è venuta in Italia per esporre, in Parlamento e ai movimenti, la drammatica situazione dei diritti umani nel suo paese: in particolare quella dei giornalisti, esposti alla violenza delle organizzazioni criminali e dello Stato. Ieri, l’Onu ha denunciato l’ultimo omicidio, quello dell’attivista Meztli Sarabia, eliminata da uomini armati nella città di Puebla, all’est della capitale.

Qual è la situazione dei giornalisti in Messico e cosa chiedete all’Italia?

Veniamo attaccati quando facciamo inchieste sulla mattanza dei migranti e delle donne, sui desaparecidos, sulla corruzione dei governi, sulla rapina delle risorse dei popoli indigeni e, ovviamente, sui vincoli tra il crimine organizzato e le differenti sfere dello Stato. Le statistiche riportano l’assassinio di 128 colleghi e colleghe tra il 2000 e il 2017. Il Messico è senz’altro il paese più pericoloso per esercitare la professione in America latina, e risulta tra i primi cinque al mondo, solo dopo paesi in cui vi sono conflitti bellici dichiarati come la Siria o l’Afghanistan. Una realtà che però viene negata in Messico. Veniamo uccisi perché lo si permette, perché l’impunità è del 99,75%, perché il governo federale non fa assolutamente niente per risolvere la violenza generalizzata in Messico, di cui gli omicidi di giornalisti sono solo una parte. Le cifre ufficiali della Fiscalía para la Atención de Delitos Cometidos contra la Libertad de Expresión (Feadla) mostrano che da luglio del 2010 a dicembre del 2016 sono state depositate 798 denunce per aggressioni ai giornalisti. Il 99,7% non ha avuto seguito. Non ci sono colpevoli. Indagare sull’inferno messicano e diffondere i risultati significa toccare gli interessi del binomio Stato-crimine organizzato. E i colleghi che si stanno occupando di questi vincoli sono quelli che vengono assassinati e minacciati. Solo di fronte all’omicidio del 35° giornalista, il presidente Enrique Peña Nieto ha diffuso un comunicato. Nei sei anni precedenti, niente. Sembra che Nieto e il suo governo abbiano scoperto ora che in Messico si uccidono i giornalisti e che non ci sono colpevoli. Senza alcun dubbio, giacché i dati lo dimostrano, con il governo di Peña Nieto la violenza contro i giornalisti è aumentata. A ogni anno dei sui mandati sono di più rispetto a quello precedente: 4 nel 2013, 6 nel 2014, 7 nel 2015, 12 nel 2016 e 8 finora nel 2017. L’aumento si spiega per via dell’impunità, perché se si ammazza un giornalista, in Messico, non succede assolutamente niente. In questo contesto, in Italia si può far molto, penso che solo la pressione internazionale può obbligare lo Stato messicano a dare una risposta immediata e contundente di fronte a questi omicidi. A Roma ho avuto l’opportunità di parlare alla Commissione dei Diritti umani della Camera dei deputati. L’ascolto da parte delle istituzioni, delle organizzazioni per i diritti umani, dei colleghi nei media e della società in generale è indispensabile per dire al governo messicano che non siamo soli, ed esigere tutti insieme la fine degli assassinii e dell’impunità. Occorre anche far pressione affinché i responsabili per la libertà di espressione dell’Onu e della Cidh vengano in Messico. Pare che il governo abbia accettato la loro visita, ma non si è ancora concretizzata.

Può parlarci dello scandalo delle intercettazioni illegali messe in atto dal governo nei confronti di giornalisti, attivisti e difensori dei diritti umani?

In questi giorni, è venuta alla luce un’indagine realizzata dalla Red en Defensa de los Derechos Digitales, dall’organizzazione Article 19 e Social Tic, anticipata dal New York Times, nella quale, mediante uno studio rigoroso si conferma che lo Stato messicano spia giornalisti, difensori dei diritti umani e attivisti che denunciano atti di corruzione. Lo fa infettando i loro telefoni con il malware Pegasus, un programma israeliano che viene venduto solo ai governi per la lotta alla criminalità. L’inchiesta ha messo in evidenzia come il governo consideri delinquenti quelli che denunciano le sue pratiche e che difendono i diritti umani. Negli ultimi anni, si sono raccolte prove che almeno tre organismi del governo federale hanno comprato il programma: la Procuraduría General de la República (Pgr), il Centro de Investigación y Seguridad Nacional (Cisen) e la Secretaría de la Defensa Nacional. Quest’ultima è priva delle prerogative legali per esercitare azioni di vigilanza. Lo studio scientifico risalta che l’uso reiterato di questi attacchi contro giornalisti e difensori dei diritti umani si è moltiplicato nei momenti critici per il governo federale. Il governo messicano ha speso 80 milioni di dollari nei programmi di spionaggio, è il più grande compratore di Pegasus del mondo. Sapevamo di essere spiati dal governo, ma ora abbiamo la prova rigorosa del modo in cui lo sta facendo, il che implica gravi reati e violazioni dei diritti umani. Chiediamo un’indagine indipendente.

Venivano spiati anche gli avvocati dei 43 studenti di Ayotzinapa, le cui famiglie aspettano ancora giustizia…

A 33 mesi dalla loro scomparsa, non sappiamo ancora cosa sia accaduto il 26 settembre del 2014 a Iguala, nel Guerrero. Però sappiamo che la versione del governo è falsa. Gli esperti della Cidh hanno dimostrato che gli studenti non sono stati bruciati nella discarica di Cocula e che si sono seminate prove in quel posto: una delle tante irregolarità di un’inchiesta considerata dal governo come «verità storica». Non sappiamo tutto quel che è successo, però di certo sappiamo quel che non è successo. I padri e le madri dei 43 studenti, che non hanno smesso un solo giorno di cercarli, esigono che si indaghi sull’esercito messicano, ma il governo rifiuta. Nessuno è stato messo sotto inchiesta. Ayotzinapa ha rivelato la grave crisi dei diritti umani che si vive in Messico. La ricerca degli studenti ha portato alla scoperta di centinaia di fosse comuni clandestine con migliaia di cadaveri. Non erano quelli dei ragazzi, ma allora di chi sono, ci si è chiesti. Si parla di 30.000 scomparsi per la cosiddetta guerra al narcotraffico, che è stata una guerra contro la popolazione.

A Cancún l’Organizzazione degli stati americani ha rifiutato i progetti proposti dalla ministra degli Esteri venezuelana, Delcy Rodriguez, uno dei quali riguardava la ricerca dei 43. Sia Luis Almagro, segretario dell’Osa, che il governo Nieto, anziché delle violazioni dei diritti umani in Messico si occupano degli affari interni di Caracas. Qual è la sua opinione?

Mi sembra assolutamente ipocrita e inammissibile che il governo messicano abbia promosso un’iniziativa per i diritti umani in Venezuela nel contesto della maggior crisi dei diritti umani che vive il Messico. E mi sembra inammissibile che l’Osa abbbia fatto pressione a Cancún per ottenere un pronunciamento contro il Venezuela, rifiutando invece quello contro la scomparsa dei 43 giovani di Guerrero in cui risulta la partecipazione dello Stato messicano.

Dopo le elezioni federali, qual è il panorama elettorale in Messico?

A luglio del 2018 vi saranno le elezioni presidenziali, ma in realtà le campagne dei diversi partiti politici sono già cominciate. Mi sembra che, in termini elettorali, non emergano progetti diversi di paese. Non si riesce a distinguere tra il piano di campagna della sinistra partitica, del centro e della destra. Per la terza volta, Andrés Manuel Lopez Obrador punta alla presidenza, questa volta per il Partito Morena, che proviene da una scissione del Prd, che a sua volta è una scissione del Partido Revolucionario Institucional, che ha governato per oltre 70 anni di seguito, e che dopo aver lasciato la presidenza ai 12 anni del Partido Acción Nacional (di destra), è tornato a riprendersela con Peña Nieto. Penso che López Obrador può essere un nemico del gruppo di potere, un pericolo per il sistema. Contro di lui, indubbiamente si scatenano la corruzione, i conflitti di interessi e il sabotaggio che sta denunciando. Mi pare però preoccupante che fino ad ora, per esempio, nessuno dei partiti politici si sia pronunciato contro gli assassinii di giornalisti, contro la scomparsa di 30.000 persone e i 200.000 omicidi degli ultimi 10 anni. Non siamo una priorità nella loro agenda.

E come valuta la proposta della candidata indigena alla presidenza?

La candidatura è stata avanzata dal Congresso nazionale indigeno con l’appoggio dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln). Hanno chiarito che non si tratta di una candidata, ma di una portavoce del Consiglio indigeno composto da 71 istanze di tutto il paese. Come portavoce è stata eletta María de Jesus Patricio. Ha spiegato che non cerca il potere per il potere, il suo principale obiettivo è l’organizzazione del popolo contro il sistema capitalista. È l’unica proposta che si definisce apertamente anticapitalista, il cui piano di lavoro non si condensa in un partito o in una persona, ma in un collettivo indigeno che lotterà per la vita, la difesa del territorio e le risorse naturali.

Lei ha partecipato alla campagna internazionale per le ragazzine bruciate vive in Guatemala. Con quali obiettivi?

Il crimine di Stato commesso nella casa famiglia Hogar Seguro non deve restare impunito. Le 41 bambine e adolescenti che sono morte carbonizzate devono essere ricordate come guerriere uccise per essersi ribellate alle violenze in un luogo che avrebbe dovuto proteggerle. Tre mesi dopo, prevale l’impunità e nessuno viene processato per omicidio, sparizione forzata e tortura, come chiedono gli avvocati.

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