Europa

Merkel (e Gabriel): «In Europa tutto il potere a Berlino»

Merkel (e Gabriel): «In Europa tutto il potere a Berlino»La cancelliera Angela Merkel e il ministro Sigmar Gabriel – LaPresse

Dopo il G7 È scontro con gli Usa: dal clima, alla Nato, ai rapporti con Mosca, al Medio Oriente. E per salvare l’Ue abbandonata dal Regno unito e ora da Trump, Germania unita intorno alla cancelliera disposta a guidare quel che resta della comunità europea

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 30 maggio 2017

Tutto il potere a Berlino. Il «controllo» dell’Europa per salvare l’Ue abbandonata dagli Usa dopo la Brexit del Regno Unito.

Archiviato il «deludente» G7 di Taormina, la Germania fa quadrato intorno alla cancelliera Angela Merkel disposta –davvero e per la prima volta – a guidare quel che resta della comunità europea. Inizia così la costruzione del modello antitetico all’America di Donald Trump quanto alternativo all’Unione di Bruxelles, almeno altrettanto ingestibile.

Una decisione «storica» assunta in piena urgenza e controvoglia dopo «il fallimento degli Usa come grande nazione» riassume con scarsa diplomazia e molta efficacia il ministro degli esteri Sigmar Gabriel, ex leader dell’Spd.

È il via libera definitivo del governo al piano per «governare» il continente al tramonto dell’era americana. Un progetto preparato ben prima del flop del summit in Sicilia.

Lo «sganciamento» dagli Stati uniti e il controllo dell’Europa anticipati da Merkel con birra all’incontro elettorale Csu in Baviera («Noi europei dobbiamo andare avanti da soli») trovano d’accordo l’intera Grande coalizione. Perfino il capo della Csu Horst Seehofer, nemico giurato della cancelliera, benedice in pieno la linea «autonomista».

«Il primo fronte sarà l’accordo di Parigi sul clima che Trump vuole smontare» promette Martin Schulz, candidato cancelliere dell’Spd alle elezioni di fine settembre, invitando a «difendere la lotta al riscaldamento globale al G20 di Amburgo di luglio e non cedere alla legge del più forte».

Nondimeno dalle affermazioni dure di Sigmar Gabriel, socialdemocratico e ministro degli esteri tedesco che ha parlato di «caduta degli Usa come nazione importante», e per Gabriel il problema va ben oltre il G7 fallito: «Questo purtroppo è un segnale del cambiamento dei rapporti di forza – ha affermato – l’occidente diventa più piccolo».

Sarà la scintilla che farà brillare i rapporti fra Germania e Stati Uniti, anche se la fiamma brucia già in ambito Nato. Merkel ha garantito a Trump il pagamento all’Alleanza atlantica della quota della Germania, arretrati compresi, ma è pronta a traslocare le truppe tedesche dalla base turca di Incirlik (dove vige il divieto di ispezione per i deputati del Bundestag) in Giordania anche senza il benestare di Washington. Come a «rallentare» il riposizionamento dei carri armati M1-Abrams diretti nei Paesi baltici che transitano nel Brandeburgo.

In parallelo procede il distacco dalle posizioni Usa in Medio Oriente coincidenti anche con la politica degli alleati europei, tra cui l’Italia.

Al contrario di Roma le relazioni di Berlino con Tel Aviv sono ai minimi storici: il governo tedesco non ha digerito il veto di Netanyahu all’incontro di Gabriel con i palestinesi in Israele; il 21 maggio ha risposto ospitando al ministero degli esteri il convegno sulla pace di 53 religiosi, tra cui Hamidreza Torabi e l’iraniano Seyed Navab nella lista nera della comunità ebraica locale.

Mani libere anche nei rapporti con la Russia di Putin (a partire dal raddoppio del gasdotto russo-tedesco contestato anche dall’Italia) e soprattutto con la «normalizzazione monetaria» dell’Ue temuta dai partner con i conti fuori-regola

È il cardine del piano imbastito da Merkel, il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble e Seehofer concentrati sulla successione alla Bce. Scaduto il mandato di Mario Draghi nel 2019, il nuovo governatore di Francoforte, secondo i piani di Berlino, sarà il tedesco Jens Weidmann, capo della Bundesbank ed ex direttore della divisione finanziaria della cancelleria.

Candidato Csu a presidente della Repubblica tedesca al posto di Steinmeier, Jens Weidmann è il primo dei falchi nel consiglio dei 25 della Bce. Oltre che nemico dichiarato di Mario Draghi, è anche la bestia nera dell’amministrazione Trump che contesta alla «cattiva Germania» l’eccesso di esportazioni. Il 23 maggio ha respinto al mittente le accuse ricordando a Washington «i privilegi di cui hanno goduto gli Usa in passato».

L’economista tedesco, 49 anni, è l’uomo-chiave della «Normalisierung» richiesta da Merkel per poter gestire l’Europa. Un progetto da far «digerire» alla Francia di Macron proprio attraverso Weidmann (che ha studiato economia a Marsiglia) nel ruolo di negoziatore sulla fine dei bassi tassi di interesse e il rientro in dimensioni accettabili del deficit di Parigi.

Esattamente ciò che serve a sbloccare il risparmio in Germania: dalle assicurazioni sulla vita, che oggi rendono poco o niente, alle casse di risparmio incagliate nell’attuale politica monetaria.

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