La politica estera dell’Unione europea è dominata da un interesse e da un’ossessione, a scapito della tutela e della promozione dei diritti umani.

L’interesse è legato alle risorse, l’ossessione (che nasce dalla politica interna e che quella estera esegue) riguarda l’immigrazione.

Questo è particolarmente vero nelle relazioni con la sponda sud del Mediterraneo: vogliamo il pesce dal Marocco (o meglio dalle acque del Sahara occidentale occupato, e chissà che la Corte di giustizia dell’Unione europea, proprio per questo motivo, non si metta di traverso) e gli idrocarburi da Algeria ed Egitto. Paghiamo da tempo la Libia e, ora, la Tunisia perché fermino le partenze dei migranti e dei richiedenti asilo.

L’accordo di domenica col presidente tunisino Kaïs Saïed è, per molti versi, una fotocopia del Memorandum d’Intesa tra Italia e Libia promosso nel 2017 dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti. Il suo obiettivo, adottato entusiasticamente dal governo italiano, è quello di risolvere la nostra ossessione: soldi in cambio di controllo delle frontiere, soldi per pattugliare le acque territoriali, soldi per migliorare il sistema di ricerca e soccorso in mare (una formula orwelliana che si traduce: intercettare e riportare a terra), soldi per favorire i rimpatri dei tunisini arrivati irregolarmente in Europa, soldi infine per facilitare i ritorni, dalla Tunisia verso paesi terzi, di cittadini non tunisini.

La redazione consiglia:
Tunisia, Meloni ci riprova: soldi per fermare i migranti

Nell’accordo col presidente tunisino Saïed non manca, naturalmente, quella «retorica dei diritti umani» che serve a tranquillizzare le inquietudini di facciata: si cita, infatti, peraltro in modo del tutto vago, il rispetto dei diritti umani e delle norme del diritto internazionale.

Nelle fitte interlocuzioni di questi mesi con Tunisi, nessuno ha fatto presente a Saïed che le norme interne e internazionali sui diritti umani, a partire dall’estate del 2021, le ha progressivamente smantellate lui: un profondo giro di vite nei confronti del dissenso pacifico e della libertà d’espressione (gli oppositori indagati e, in alcuni casi, agli arresti, sono una settantina), l’annullamento delle garanzie sull’indipendenza del potere giudiziario e, da ultimo, all’inizio dell’anno, il ricorso al discorso d’odio, che ha generato un’ondata di violenza contro i migranti, i richiedenti asilo e i rifugiati dell’Africa subsahariana.

Ricordiamo le parole pronunciate da Saïed il 21 febbraio, durante una riunione del Consiglio per la sicurezza nazionale: «Orde di migranti irregolari provenienti dall’Africa subsahariana [sono arrivati in Tunisia] con la violenza, i crimini e i comportamenti inaccettabili che ne sono derivati»; una situazione «innaturale», parte di un disegno criminale per «cambiare la composizione demografica» e trasformare la Tunisia in «un altro stato africano che non appartiene più al mondo arabo e islamico». Nessuno stupore se, immediatamente dopo, folle di facinorosi sono scese in strada aggredendo «i neri». Decine e decine sono stati arrestati e poi espulsi. Per arrivare agli ultimi giorni, quando centinaia di migranti, bambine e bambini inclusi, sono stati abbandonati al loro destino nelle aree desertiche alle frontiere con Libia e Algeria.

«Notizie false», ha attaccato Saïed riferendosi ad Amnesty International e ad altre organizzazioni non governative. Tutto, purtroppo, tragicamente vero. Com’è vero che le fallimentari politiche dell’Unione europea continuano a espandersi. Com’è vero che l’Unione europea si renderà nuovamente complice, attraverso questo mal-concepito accordo con la Tunisia, di violazioni dei diritti umani.

* Portavoce di Amnesty International Italia