Meloni nella strettoia della partita Ue. Tajani: serve il centro
La premier prova a proporsi come ponte con il Ppe per non isolarsi. Ma ha bisogno di ottenere un commissario con deleghe forti. Con Macron più forte del previsto per la leader di Fdi la trattativa non sarà semplice
La premier prova a proporsi come ponte con il Ppe per non isolarsi. Ma ha bisogno di ottenere un commissario con deleghe forti. Con Macron più forte del previsto per la leader di Fdi la trattativa non sarà semplice
Intorno alla culla del neonato gruppo dei Patrioti per l’Europa, che ha già scippato ai Conservatori di Giorgia Meloni il terzo posto nella classifica degli eurogruppi più numerosi, un po’ tutti si sbracciano per negare ogni tensione con la premier italiana. «Non chiudiamo la porta a una collaborazione tra Rassemblement e FdI», assicura l’eurodeputato Garraud. «Il cameratismo tra noi è forte come prima», giurano quelli di Vox, nonostante mollando la camerata proprio adesso le abbiano reso un pessimo servizio nella già difficile trattativa per portare a casa un commissario con deleghe essenziali.
La realtà è evidentemente opposta. La manovra di Viktor Orbán, Marine Le Pen e Matteo Salvini mira proprio a fare terra bruciata se non intorno a Giorgia Meloni almeno intorno alla sua impostazione dialogante con il Ppe. Ma questo a livello di destra europea. In casa l’ala italiana dei Patrioti, la Lega, ha invece tutte le intenzioni di rendere la vita più difficile alla premier in persona. Ieri Salvini ha riunito i ministri del Carroccio. «Grande soddisfazione» per la nascita dei Patrioti ma anche un piano di battaglia per il futuro basato su obiettivi strategici alcuni dei quali sembrano fatti apposta per piantare spine nel fianco della camerata, pardon alleata: pensioni e aumenti salariali. Con i chiari di luna imposti dalla resurrezione del patto di stabilità e dalla procedura di infrazione trattasi di pura dinamite.
IL PROBLEMA È CHE il varo del Patriottico vascello doveva arrivare all’indomani di una vittoria elettorale in Francia che avrebbe dimostrato l’inutilità di ogni lavorìo diplomatico, o inciucio che dir si voglia, dal momento che a rompere il cordone sanitario intorno alla destra avrebbero dovuto essere gli elettori. I quali invece hanno fatto il contrario. Hanno messo in chiaro che la destra, per quanto numerosa sia, rischia di vegetare nel ghetto, condannata all’assoluta ininfluenza ancora e ancora. Per Giorgia Meloni, che complice il provvidenziale tour a Washington per le celebrazioni dell’anniversario Nato continua a non dire mezza parola su quanto successo dall’altra parte delle Alpi, è una carta vincente. Conferma infatti la necessità di un ponte tra la destra e il Ppe, pena appunto l’irrilevanza a Bruxelles e Strasburgo.
FDI CERTO NON PUÒ DIRLO apertamente. Ci pensa e senza peli sulla lingua Forza Italia che neppure prova a nascondere la piena soddisfazione per la batosta subìta dalla destra francese. Antonio Tajani è sintetico e tagliente: «La destra radicale ma anche la destra in generale da sola è condannata a perdere. C’è un solo antidoto: l’alleanza con un centro forte». La via d’uscita c’est moi, dichiara insomma il leader dell’ala italiana del Ppe ma un discorso simile, pur se certo non identico, potrebbe fare anche la premier. Senza una cerniera con il Ppe la destra non ha sbocchi.
SOLO CHE PER SOTTRARSI all’alternativa drastica di fronte alla quale la pone il grosso della destra europea, cioè alla scelta tra uniformarsi alla loro linea in ruolo subalterno oppure rassegnarsi a fiancheggiare il Ppe, Meloni ha bisogno di uscire vincente dalla partita che sta giocando in vista del voto del 18 luglio su Ursula von der Leyen. FdI deve poter votare per la ricandidata alla presidenza della Commissione europea ma ottenendo in cambio qualcosa da sbandierare come vittoria: un commissario importante, certo, ma soprattutto deleghe essenziali. Con Emmanuel Macron, burattinaio della manovra che la ha sinora tagliata fuori da ogni scelta, molto più forte di quanto non prevedesse la premier alla vigilia del voto francese e con il gruppo europarlamentare a ranghi ridotti non si tratta affatto di un obiettivo facile. Dai piani alti di FdI argomentano che anzi, con i duri radunati nel gruppo dei Patrioti, le cose saranno molto più facili. Sembra tanto un classico discorso autoconsolatorio.
PER QUANTO DIVERSE siano le reazioni al voto francese, su un fronte l’impatto sarà identico per l’intero centrodestra: la messa la bando di ogni suggestione di doppio turno. Per ora lo dice a chiare lettere solo Forza Italia con Martusciello: «Avremmo perso tutti i collegi camerali», ma sarà così per tutta la destra impegnata infine nel fare i conti con la necessità di varare una nuova legge elettorale. Il doppio turno? Giammai.
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