Giorgia Meloni si dibatte in un labirinto, ma solo oggi sapremo se riuscirà a uscirne. Ieri per tutto il giorno le linee telefoniche tra Roma e Bruxelles si sono intasate alla ricerca di una soluzione che permetta a FdI di giustificare il voto a favore del ritorno di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea. Ma che sia stata trovata è ancora del tutto incerto. Chiedere ieri sera agli eurodeputati FdI se avessero deciso di votare pro o contro significava farsi ridere garbatamente in faccia: «Vorrei saperlo anche io». Una decisione diventata di giorno in giorno più sofferta verrà presa solo dopo aver letto le «linee guida», nelle quali la candidata riassumerà i contenuti del discorso programmatico che svolgerà poi in aula.

Probabilmente non ci saranno annunci ufficiali nemmeno a quel punto: qualcosa si capirà dagli interventi in aula prima del voto ma l’ufficializzazione arriverà solo nella conferenza stampa già convocata dai capidelegazione Carlo Fidanza e Nicola Procaccini per le 15, due ore dopo l’inizio delle votazioni che a quel punto saranno concluse. Fino a quel momento, come per tutta la giornata di ieri, bocche cucite e consegna del silenzio. Su tutto, anche sugli eventuali contatti tra la premier e la candidata. Il massimo che si strappa è un laconico: «Sono sempre in contatto».

ALMENO IN PARTE si tratta di una situazione tra le più classiche. La premier italiana vorrebbe votare per una presidente con la quale è andata sempre d’accordo invece di farsi sbalzare nel ghetto affollato dagli altri sovranisti europei, che del resto ormai la guardano con sospetto. Ma per farlo ha bisogno di un appiglio, cioè di una frasetta pronunciata dalla candidata questa mattina in aula che permetta di brandire un cambiamento, vero o presunto, dell’approccio sulla riconversione ecologica, bestia nera della destra e in buona parte anche del Ppe. L’azzurro Antonio Tajani, del resto, pur confermando il voto a favore della candidata, incalza proprio dall’interno dei Popolari: «Spero che venga eletta ma le politiche, soprattutto sull’ambiente, dovranno essere diverse dagli anni passati». Alla presidente uscente e forse rientrante servirà parecchio talento diplomatico però, perché solo con una sostanziale conferma del Green Deal otterrà il grosso dei voti Verdi, 45 su 53, senza i quali sarebbe a rischio anche con il soccorso tricolore.

PROBABILMENTE PERÒ c’è un’altra e meno consueta difficoltà. Indipendentemente dal suo voto Meloni vuole che Ursula ce la faccia: sull’Ucraina marciano fianco a fianco, sull’immigrazione non potrebbe trovare una presidenza più in assonanza con la sua impostazione. Ma proprio un suo sostegno troppo aperto, magari in nome proprio della linea comune sull’immigrazione oppure esaltando una svolta sulla riconversione ecologica, potrebbe rivelarsi il bacio della morte. A quel punto i Verdi ma anche molti socialisti che già si accingono a votare a malincuore potrebbero infatti impallinare la candidata nel voto segreto. Chissà che la reticenza fino all’ultimo secondo e forse anche oltre non dipenda anche da questo, come pure il mutismo sulle eventuali telefonate tra la premier italiana e la presidente ricandidata.

Tra le condizioni poste dagli stessi Verdi, ma anche da Socialisti e Liberali, c’è proprio il rifiuto di qualsiasi trattativa con i Conservatori o con qualche loro componente. In un momento delicatissimo come questo, anche una telefonata resa pubblica rischia di suonare come «trattativa».

IL PROBLEMA PIÙ SPESSO citato nelle ultime settimane, quello del «commissario pesante», in realtà sembra soprattutto una cortina fumogena. Ieri sia Tajani che il ministro dell’Economia Giorgetti hanno fatto riferimento esplicito alla nomina di Raffaele Fitto, un nome che per Bruxelles va benissimo. Che riesca a strappare la Concorrenza, con il nodo irrisolto dei balneari di mezzo, è improbabile ma non è quella l’unica voce soddisfacente per l’Italia. Dell’immigrazione e della politica estera si è già detto. Lo stesso Green Deal, in realtà, è soprattutto un tema che, pur essendo davvero oggetto di scontro forte, viene messo in campo soprattutto per la sua valenza simbolica oltre che politica. Meloni deve poter rivendicare di fronte alla destra europea un successo politico. Vuole evitare una rottura completa e lo ha dimostrato anche ieri. Nella mozione sull’Ucraina FdI si è smarcata sui due punti più critici per il resto della destra: si è astenuta sulla possibilità di usare le armi «difensive» per colpire il territorio russo, ha votato contro la censura per il premier ungherese Viktor Orbán. Ma anche Socialisti, Liberali e Verdi devono provare nei fatti di non aver concesso niente a una leader comunque di destra. Il labirinto è questo.