Giusto un rapido scambio di vedute, quasi un incontro casuale, non preparato in anticipo e dovuto solo alla presenza del presidente francese Macron a Roma. Da palazzo Chigi descrivono così il colloquio di ieri tra Emmanuel Macron e Giorgia Meloni. In realtà l’incontro è stato lungo, oltre un ora e mezzo, con sul tavolo non solo l’immigrazione ma anche la situazione economica dell’Unione e quella nel Sahel. Certo è improbabile che i due si siano detti qualcosa di davvero rilevante, per non dire risolutivo. Importante, in questo caso, non è tanto il contenuto dello «scambio di vedute» ma il segnale politico lanciato con un faccia che non era dovuto. Macron era a Roma solo per rendere l’ultimo omaggio Napolitano, i due si rivedranno tra pochi giorni in una cornice più adeguata, il summit degli Stati mediterranei a Malta. Ostentare rapporti cordiali sarebbe stato sufficiente, a maggior ragione se si pensa che meno di un anno fa il gelo tra i due era totale e le diplomazie si scervellavano per trovar modo di superare quello che si configurava quasi come un vero incidente diplomatico. Acqua passata: l’incontro di ieri serviva proprio a indicare la ritrovata vicinanza sul fronte dell’immigrazione tra i due principali Paesi del Mediterraneo.

LA PREMIER È CONVINTA che Macron stia dalla sua parte nel tentativo, in realtà piuttosto avanzato, di spostare la politica della Ue sull’immigrazione dai problemi, peraltro mai risolti, dell’accoglienza e della redistribuzione alla strategia dell’impedire gli arrivi. Probabilmente Meloni ha ragione. L’intesa tra gli ex nemici è cementata proprio da questa visione comune e dall’intenzione di imporla all’intera Unione. Significa sostegno agli Stati africani perché diano una mano a fermare le partenze e poco importa se la mano sarà pesante: Macron suggerisce infatti aiuti economici per Tunisia e Algeria. Significa una difesa comune del «confine esterno», il Mediterraneo: la Francia è dispostissima a discuterne. Significa infine rimpatri e anche questo va benissimo, purché non si tratti di ricollocamenti sul suolo francese.

Certo, nelle parole di Macron il riflesso dei suoi problemi interni è evidente. L’asse con Meloni, elogiata per le sue posizioni distanti da quelle «semplicistiche e nazionaliste» del pur non apertamente nominato Matteo Salvini, serve a isolare nel suo Paese Marine Le Pen, che invece di Salvini è alleata. Ma qualunque sia il calcolo che muove il presidente francese, comunque oggi è lui che si profila come la principale sponda di Giorgia Meloni in Europa dopo la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Per la premier italiana, se l’asse reggerà, si tratterà di un punto importante segnato dall’inquilina di Chigi.

A GUASTARE LA FESTA ci prova, ancora una volta, Salvini. Ufficialmente esprime «totale fiducia e totale sintonia con Giorgia», anche per quanto riguarda il colloquio con Macron di cui pure, ammette, «non ero stato informato». Ma con la Germania le cose stanno diversamente. Lì Salvini resta all’attacco: «Se la Germania, e non solo la Germania, finanziano associazioni che collaborano alla gestione dell’immigrazione clandestina, la cosa non mi pare rispettosa. Se portano gli immigrati in Germania nulla quaestio, ma se li lasciano in Italia è un problema». L’attacco, tutto sommato, è contenuto. Il compito di andare giù con la mazza ferrata è delegato al vicesegretario leghista Crippa: «Ottant’anni fa il governo tedesco decise di invadere gli Stati con l’esercito ma gli andò male, ora finanziano l’invasione dei clandestini per destabilizzare i governi che non piacciono ai social-democratici. Ma falliranno come fallirono ottant’anni fa».

SONO TONI BEN DIVERSI da quelli, duri ma ancora diplomatici, adoperati il giorno prima da Meloni nella lettera scritta al cancelliere Scholz per prestare contro la decisione tedesca di finanziare due Ong. Ma quella di Meloni e quella di Salvini sono strategie opposte: la prima scommette su un’Europa unita a sostegno della sua politica blindata, il secondo mira a fare dell’immigrazione la leva per scardinare l’Europa.