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Meloni fa il ribaltone a destra ma l’alleanza resta obbligata

Meloni fa il ribaltone a destra ma l’alleanza resta obbligataGiorgia Meloni al voto – Ansa

La destra alle amministrative La leader di Fdi esulta. Disastro Lega, Salvini sempre più debole ma non ancora fuori gioco

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 14 giugno 2022

Fresca di comizio andaluso in appoggio a Vox, una boccata d’aria all’estero dove ci si può scagliare in libertà contro «la lobby lgbt, l’immigrazione di massa e la grande finanza internazionale», Giorgia Meloni incontra i giornalisti a Roma con piglio cesariano: «Il centrodestra si afferma. Fratelli d’Italia è forza trainante grazie alla chiarezza del suo posizionamento. Torna un sano bipolarismo e il voto dissuade chi pensava al proporzionale. È stato smontato il racconto secondo cui non avremmo una classe dirigente». Se non è proprio «Veni, vidi, vici» ci manca pochissimo.

MA PER COGLIERE in pieno la portata del terremoto che ridisegna la destra italiana bisogna alternare le immagini del trionfo della sorella d’Italia con quelle della mestizia del «Capitano», Matteo Salvini. Bastonato di brutta nel referendum e poi nelle città del nord, con alle spalle una riunione lampo del Consiglio federale leghista, Salvini prova a fare buon viso a pessimo gioco: «Il centrodestra unito vince mentre dove è diviso, come a Verona, può vincere al ballottaggio ma non è certo. Noi siamo il collante del centrodestra e a me interessa la coalizione. Il leader del centrodestra, chi farà il premier, lo decideranno gli italiani alle prossime elezioni».

IN ITALIA I TEMPI della politica sono vertiginosi e tutto può sempre succedere ma al momento e senza errori clamorosi da parte dei leader la strada sembra davvero segnata. Sulla legge elettorale ha ragione la leader tricolore: le già esigue possibilità di una riforma proporzionalista si sono ulteriormente avvicinate allo zero assoluto. Significherebbe rinunciare a una vittoria se non certa almeno molto probabile e questo Lega e Forza Italia non possono farlo. Resta in campo, ma remota, la possibilità di una lista comune Lega-Fi. Non è del tutto esclusa ma quasi sì. Significherebbe per entrambi i partiti perdere seggi invece di guadagnarli, la somma dei simboli porterebbe a una sottrazione di voti.

La spinta unitaria è massiccia e si tratta di una differenza sostanziale rispetto alle ultime tornate di voto amministrativo nelle quali, nonostante il prezzo salato pagato dalla destra alle proprie divisioni interne, il risultato era stato un aumento del tasso di rissosità e disgregazione interna. Stavolta non sarà così: le elezioni politiche sono troppo vicine per permettersi giochi del genere e il responso delle urne è netto. Dove è divisa come a Verona o Catanzaro, la destra è costretta al ballottaggio invece di cogliere una facile vittoria immediata.

L’ELEMENTO CRITICO, l’incognita, è proprio Salvini. Con una serie di sconfitte ormai chilometrica alle spalle, battuto nelle sue stesse roccaforti, per l’ex ministro degli Interni dovrebbe suonare l’ora della resa dei conti. Ma probabilmente non sarà così. Defenestrare il « Capitano» vorrebbe dire affrontare la concreta possibilità di una scissione e questo, nota un dirigente, «non è nello stile della Lega» e tanto meno del suo numero 2 Giancarlo Giorgetti.

Inoltre Salvini andrebbe sostituito e nessuno in questo momento è in grado di farlo. Più probabilmente nel Carroccio si aprirà uno scontro diretto, probabilmente camuffato ma senza esclusione di colpi, tra chi attribuisce le responsabilità del disastro al «frondismo» parolaio del capo e chi invece lo addebita alla sua sostanziale obbedienza a Draghi.

L’ALTRA INCOGNITA è sino a che punto il capo della Lega e Silvio Berlusconi siano disposti ad accettare l’egemonia della vincitrice. Da questo punto di vista il risultato di ieri, con FdI che supera la Lega in piazze del nord centrali come Genova, Parma e Verona, può portare a esiti opposti. La reazione della Lega potrebbe essere un’impennata di conflittualità interna ma di fronte a rapporti di forza che si configurano come delineati e non più combattuti testa a testa, il Cavaliere e Salvini potrebbero invece accettare il verdetto dell’elettorato facendo però pesare al massimo il loro ruolo essenziale.

In concreto chiedendo in cambio del riconoscimento della leadership posti e seggi e in caso di vittoria alle elezioni ministeri. Molto, forse tutto, dipenderà dunque dalla capacità della trionfante Giorgia di saper amministrare con saggezza e oculatezza il suo innegabile successo. Senza farsi tentare dal tallone di ferro.

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