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Meloni convoca il G7, ma può poco

Meloni convoca il G7, ma può poco

Fuori dal mondo Nel comunicato finale si parla di «soluzione diplomatica». Italia e Europa sono spettatrici impotenti della crisi. Girandola di incontri e telefonate per salvaguardare i soldati italiani. Tajani propone agli altri ministri il potenziamento della missione Unifil in Libano

Pubblicato circa 19 ore faEdizione del 3 ottobre 2024

La girandola di incontri e telefonate ai massimi livelli nazionale e internazionale è continua: vertice notturno a palazzo Chigi, presenti premier, ministro della Difesa e in remoto degli Esteri, il sottosegretario Mantovano, il consigliere diplomatico Fabrizio Saggio, i servizi. All’uscita del Cdm la premier convoca il G7, di cui è presidente di turno, per un summit telefonico mentre Tajani fa a sua volte il punto con i ministri degli Esteri di Usa, Regno Unito, Francia e Germania. I risultati sono scarsi: solo la decisione di tentare fino all’estremo la porta strettissima della diplomazia. Il comunicato finale, esaurite le dichiarazioni di rito, la condanna dell’attacco iraniano, l’impegno a darsi da fare per «favorire una riduzione delle tensioni» sulla base delle due risoluzioni su Gaza e sul confine Libano-Israele che sono sempre state lettera morta, si riduce a questo: «Una soluzione diplomatica è ancora possibile». Formula identica a quella adoperata poche ore prima da palazzo Chigi: «L’Italia continuerà a impegnarsi per una soluzione diplomatica».

È BEN POCO ma altro da fare non c’è. L’Italia è spettatrice impotente perché spettatrice impotente è l’Europa. Gli unici ad avere voce in capitolo sono gli Stati Uniti e pare che non abbiano intenzione di fermare Israele. Temperare, se possibile, sì ma nulla di più. Il vertice della mattina a Chigi produce almeno un’ipotesi di mediazione che Tajani sottopone con successo agli altri ministri. Prevede il potenziamento della missione Unifil, senza però modifiche delle regole d’ingaggio. I contingenti della missione, tra i quali l’italiano è il più numeroso, assumerebbero una funzione anche diplomatica con la presa in carica totale del controllo della zona libanese tra il Litani e il confine con Israele, quella da dove partono gli attacchi di Hezbollah. Oltre il Litani dovrebbe essere creata un’ulteriore area cuscinetto sorvegliata dall’esercito libanese regolare. Le milizie di Hazbollah resterebbero schierate solo dietro le truppe libanesi. È almeno una proposta ma in realtà nessuno s’illude sulle sue chances reali di essere accolta.

PER QUESTO forse l’attività più concreta è quella che si svolge senza clamori, al telefono. Il governo italiano è preoccupatissimo per il rischio di estensione del conflitto in sé ma anche per la sorte del nostro contingente nella missione Unifil: “Se dovesse essere ucciso qualcuno sarebbe un disastro” ammettono al ministero della Difesa. Piani e mezzi aerei e navali per l’evacuazione sono pronti, in condizioni normali l’operazione richiederebbe un paio di settimane ma in situazione di emergenza potrebbe essere portata a termine nel giro di 24/48 ore. Ma che sia l’Italia ad andarsene da sola è del tutto escluso. Tajani è tassativo: «Abbiamo valutato tutte le possibilità e non c’è alcuna decisione di ritiro del contingente italiano. Al contrario chiediamo di allargarne le competenze». Ogni decisione spetta all’Onu: quei piani diventeranno operativi solo se l’Onu stessa deciderà di ritirare il contingente.

PER QUANTO RIGUARDA i civili non si parla di evacuazione ma solo di «agevolare» il rimpatrio urgente tramite accordi con le compagnie aeree per aggiungere nuovi voli Beirut-Roma. Per i militari, il governo prova per quanto possibile a costruire uno scudo passando per vie più discrete. La premier parla al telefono con il primo ministro libanese Najib Milkati e martella sull’esigenza di garantire la salvaguardia del nostro contingente. Crosetto fa la stessa cosa discutendo uno per uno al telefono con tutti i governi coinvolti nel conflitto. Tajani affronta la questione con il ministro degli Esteri iraniano. L’Italia ha buoni rapporti con tutti nell’area e cerca di farli valere come già fece con successo negli anni ’80, quando il contingente italiano fu l’unico a non subire attentati. La realtà è che per ora molto più di questo l’Italia non può fare.

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