Con il governo di Giorgia Meloni l’Europa è sempre stata e continua a essere generosa. Questione di calcolo, non di spontaneo trasporto: nella attuale situazione di fragilità dell’Unione la tenuta dell’Italia è interesse generale e la premier “sovranista” si è rivelata la più efficace barriere contro l’ascesa di un sovranismo radicale modello Wilders: di Salvini insomma.

Meloni canta vittoria, in pubblico e in privato. «È stato un lavoro molto più complesso di quanto ci si immagini e non era scontato portate a casa il risultato. Dicevano che fosse impossibile rivedere il Pnrr ma ‘impossibile’ è una parola che usa chi non ha coraggio e a noi non manca», esulta nel videomessaggio al Forum Internazionale del Turismo. «Ora possiamo mettere 21 miliardi sulla crescita ed è una seconda manovra», aveva detto a porte chiuse nell’incontro con le parti datoriali, sottolineando che non è una felice coincidenza ma il frutto di una strategia precisa: «Abbiamo lavorato alla legge di bilancio sapendo che parallelamente trattavamo con la Commissione la revisione del Pnrr».

IL RISULTATO importante per il governo è politico. Ottiene una promozione piena, sia pure con un paio di vincoli importanti e dovendo rivedere il gioco di vasi comunicanti fra Pnrr, RePowerEu, Piano complementare e Piano di sviluppo e coesione, le diverse voci sulle quali è spalmato il Piano complessivo. In più ci sono ulteriori 2,9 mld da spendere per un totale salito a 194,4 mld, di cui 122,6 mld in loans, cioè a prestito. Per accettare le 144 riforme del Piano originale più una, per un totale di 145, la Commissione pone due condizioni essenziali sul piano delle riforme e rimaneggia profondamente, a volte dolorosamente, il RePowerEu che perde 8 mld netti rispetto al progetto italiano che ne stanziava 19,2. Le due riforme riguardano la giustizia e la concorrenza. L’Europa vuole una giustizia civile molto più veloce, con un balzo sia nella digitalizzazione che nelle nuove assunzioni, e la vuole subito. La voce concorrenza si traduce con una paroletta secca: liberalizzazioni a tutto campo, dalle assicurazioni alle farmacie alla vendita al dettaglio. La prima riforma è ostica perché snellire e accelerare il processo è da sempre una meta proibitiva per i governi italiani di qualsiasi colore. La seconda è persino più spinosa perché tocca l’interesse delle lobbies, al quale pure tutti i governi si sono piegati ma che per quello della destra è più pressante data la sua ispirazione quasi neocorporativa.

LA RINUNCIA più corposa, nel taglio drastico di Repower, è quella ai 4 mld che dovevano essere destinati all’Ecobonus, sacrificio in parte dovuto all’esborso stellare del Superbonus. Sforbiciato di brutto anche il fondo per l’edilizia popolare, che da 3,6 mld passa ad appena 1,3 e i posti negli asili nido, da 250mila a 100mila. Sono mazzate che il governo spera di recuperare in parte sempre con il gioco dei vasi comunicanti con gli altri fondi. Ma nonostante questi sacrifici il verdetto di Bruxelles è indubbiamente un successo netto per il governo e i fondi per le imprese, che complessivamente salgono a 12,4 mld, permetterebbero davvero, certo a saperli usare, di compensare su quel fronte i limiti di una legge di bilancio “seria e responsabile”, cioè austera.

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E ora per l’Italia la partita del Patto di stabilità diventa essenziale

QUANTO PESERÀ questo risultato roseo per l’Italia sugli altri tavoli aperti con la Ue e destinati a chiudersi nel prossimo mese? Impossibile prevederlo anche con credibile approsimazione. C’è il Mes, naturalmente, ma lì il governo è pronto a ratificare la riforma se otterrà qualcosa di solido nelle nuove regole del Patto. A conti fatti la vera partita è solo quella e tutto dipenderà dalla “cena” dei ministri delle finanze convocata per il 7 dicembre, alla vigilia del vertice Ecofin: una cena che si prolungherà probabilmente fino all’alba. Per l’Italia le condizioni essenziali sono due: margini più ampi di quelli previsti nella bozza spagnola e nell’intesa franco-tedesca sullo scorporo dal deficit degli investimenti verdi e digitali e garanzie di una soglia di scostamento dal parametro sul deficit che allontani la minaccia di procedura d’infrazione in primavera.

CON UN PROBLEMINO in più: i balneari. La lettera della Ue dà al governo due mesi di tempo per intervenire prima della supermulta per infrazione della Bolkenstein. Ma in ballo non c’è solo la multa perché il nodo dei balneari rimanda direttamente a quella condizione essenziale chiesta dalla Commissione in cambio della sua generosità sul Pnrr, cioè le liberalizzazioni.