E ora per l’Italia la partita del Patto di stabilità diventa essenziale
Giancarlo Giorgetti
Politica

E ora per l’Italia la partita del Patto di stabilità diventa essenziale

Negoziati in corso tra ministri: ieri Giorgetti a Parigi da Le Maire, oggi vedrà il tedesco Lindner che chiede «rigore». Sul piatto della trattativa anche il sì al Mes. Slitta la discussione alla camera
Pubblicato 12 mesi faEdizione del 22 novembre 2023

Gli emendamenti ci saranno: se ne contano migliaia. Solo i 5S ieri al Senato ne hanno presentati 950, il Pd più parco si è limitato a 500. Però sono tutti delle opposizioni: la maggioranza si adegua al diktat del governo, accetta il bavaglio. Qualche modifica ci sarà, parte tramite il solito maxiemendamento, parte con emendamenti dei relatori. Inutile dire che per ogni emendamento sarà necessaria la preventiva approvazione del governo: la riforma costituzionale si realizza praticando l’obiettivo.

Le modifiche saranno comunque risibili: il fondo a disposizione non va oltre i 100 milioni. «Si prediligono snellezza e velocità», spiega Guido Liris, relatore per FdI insieme al leghista Testor e al forzista Damiani. Un po’ è vero: Giorgia Meloni ha bisogno di dimostrare, sulla pelle del parlamento, che con i suoi metodi tutto procede meglio ma i margini d’azione sarebbero comunque ridotti all’osso. «Dall’inizio del prossimo anno ci saranno decreti sui cui intervenire con maggiore libertà», promette Liris e se è sincero s’illude. Di libertà ce n’era pochissima prima del verdetto Ue sulla legge di bilancio: da ieri sono svaniti anche quelli.

La maggioranza finge di vedere solo il bicchiere mezzo pieno. «Piena soddisfazione per il giudizio della Commissione che promuove l’Italia. L’unica riserva è per il disastro del Superbonus», dicono in coro da FdI. Lo stesso Giorgetti batte su quei tasti: «Tutto come previsto: nonostante l’eredità negativa di energia e superbonus andiamo avanti con sano realismo». Il realismo dice però che la richiesta dell’Europa è secca e, toni vellutati a parte, imperativa: nessuna bocciatura ma l’Italia non può più spendere. Con un handicap così pesante al collo la partita sul Patto di stabilità diventa se possibile ancora più essenziale. Il quadro sarebbe ben diverso se, come chiede l’Italia, si potessero scomputare dal deficit le spese ecologiche, digitali e in realtà anche militari. Lo sarebbe anche, ma in senso opposto, se passasse la proposta franco-tedesca di una zona cuscinetto sul deficit che di fatto somiglierebbe molto al portare il parametro dal 3 al 2%.

Sul Patto l’accordo non c’è: per questo il vertice straordinario che avrebbe dovuto tenersi domani è stato spostato alla sera immediatamente precedente la riunione Ecofin dell’8 dicembre: una cenetta più che un summit. Il commissario Ue Gentiloni giura che lui resta ottimista. Il collega Dombrovskis fa la voce grossa: «È essenziale concludere i negoziati il prima possibile». I negoziati passano per la raffica di incontri bilaterali tra ministri delle Finanze: ieri Giorgetti era a Parigi da Bruno Le Maire, oggi vedrà a Berlino Christian Lindner, che proprio ieri ha confermato la richiesta tedesca di rigore: «Il rialzo dei tassi ha cambiato le cose. Se un anno fa si discuteva solo di aumentare gli investimenti oggi si parla molto più di sostenibilità del debito».

Ma la trattativa passa anche per la porta sempre strettissima del Mes. Tra oggi e domani sarebbe dovuta iniziare la discussione sulla ratifica della riforma alla Camera. Come previsto non se ne è fatto niente: con di mezzo i decreti la nota dolente è slittata a data da destinarsi. Il governo non maschera più l’intenzione di scambiare il semaforo verde sul Mes con concessioni rilevanti nel nuovo Patto di stabilità, quindi non intende chiudere la partita prima del vertice Ecofin dell’8 dicembre. Gentiloni, fingendo di smentire intrecci tra i due tavoli, li conferma: «Formalmente non c’è alcun legame. Dopodiché, in termini politici, ciascuno può arrivare alle conclusioni che vuole». Il nesso c’è ma che lo scambio riesca è tutto da dimostrarsi.

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