Sarà pure storia di ieri quella di Silvio Berlusconi, ma quando si tratta di comunicazione e messe in scena il Cavaliere sta ancora parecchi passi avanti agli eredi. Per cercare di rimediare alla figura tremenda del governo di fronte alla tragedia di Cutro, al di là delle responsabilità concrete o politiche, Giorgia Meloni, da Abu Dhabi, non trova di meglio che ispirarsi al Cavaliere del 2009. Quello che dopo il terremoto dell’Aquila, per segnalare la vicinanza del governo alla popolazione, convocò proprio lì il Consiglio dei ministri. La premier di oggi, quando dopo giorni ammutoliti ritrova la favella e si decide a parlare dell’orrore di Cutro, annuncia di voler fare lo stesso: «Valuto già da qualche giorno di celebrare il prossimo cdm, sul tema dell’immigrazione, a Cutro». La data è ancora da destinarsi, molto probabilmente la settimana prossima. «Spero che non sarà solo una passerella mediatica», commenta il sindaco della città, poi prudente aggiunge, «ma non credo».

INVECE SARÀ PROPRIO questo: un colpo di teatro per riparare almeno sul piano dell’immagine a quell’assenza raggelante amplificata dal comportamento opposto del capo dello Stato Sergio Mattarella, la visita in forma privata e non ufficiale proprio per dare il senso di una vicinanza umana, non solo istituzionale, che il presidente sapeva benissimo essere sino a quel momento mancata.

La premier gioca di abilità dialettica e prova a rovesciare il quadro: «È andato il presidente che rappresenta tutte le istituzioni, a meno che qualcuno pensi che il Quirinale sia in competizione col governo». Argomentazione fiacca. Non di competizione si tratta ma di siderale distanza nei comportamenti. Del resto la stessa Meloni era quasi decisa a partire per Cutro quando le assurde dichiarazioni del suo ministro degli Interni Matteo Piantedosi, garanzia di rumorosa contestazione, le hanno suggerito di ripensarci.

NESSUNA FIGURACCIA, nessun cinismo dunque, e nessunissima responsabilità dello Stato: «Non è arrivata alcuna comunicazione di emergenza da Frontex. Non siamo stati avvertiti che c’era un naufragio. La rotta non è coperta dalle Ong, quindi i provvedimenti del governo non c’entrano niente. Ma davvero qualcuno pensa che il governo abbia voluto far morire queste persone?». Non lo pensa nessuno. La responsabilità non deriva certo da ordini di non intervenire, inimmaginabili anche per quanto riguarda questo esecutivo. Nasce dalla strategia complessiva che Giorgia Meloni ha ribadito anche ieri: «Il modo per onorare la morte di persone innocenti è cercare una soluzione. L’Italia non può risolvere la questione da sola ma per evitare che altra gente muoia vanno fermate le partenze illegali».
È la strategia della dissuasione, quella che vuole scoraggiare le partenze rendendo il viaggio più difficile e dunque, giocoforza, anche più pericoloso.

A QUESTO SERVE l’apparentemente insensata scelta dei “porti lontani” ma in una visione complessiva di questo tipo le probabilità di incidente e anche di minor attenzione da parte della Guardia costiera si moltiplicano inevitabilmente. Cosa diversa sono le responsabilità dirette, oggetto dell’indagine della Procura, vera mina sotto la poltrona di Matteo Piantedosi. Giorgia Meloni ha difeso il ministro in realtà senza calcare troppo la mano e anzi evitando elogi: l’ira per quelle dichiarazioni che, come lei stessa avrebbe ammesso in privato, «ci hanno fatto apparire cinici danneggiando l’intero governo» ancora ribolle. Si è limitata a un sobrio «l’opposizione chiede ogni giorno le dimissioni di un ministro diverso, non fa più notizia».

MOLTO PIÙ infiammato Matteo Salvini: «Le dimissioni di Piantedosi non esistono. Gli unici colpevoli, i mandanti e gli assassini, sono trafficanti e scafisti». In realtà nella vicenda il ministro ha perso parecchie posizioni all’interno del governo, più per le sue parole che perché ritenuto responsabile di eventuali mancanze. Certo, se le indagini appureranno che c’è stata assenza di soccorso la sua posizione diventerà difficile. Ma sotto il fuoco, in quel caso, finirà soprattutto Salvini, dal cui dicastero dipende la Guardia costiera. Proprio per questo alla richiesta di riferire in Parlamento martedì e mercoledì prossimo il Capitano Coraggioso, a differenza del collega del Viminale, non intende proprio rispondere.