Mediterranea è in Ucraina per la terza missione «Safe passage». Questa volta la delegazione non si è fermata a Leopoli ma ha raggiunto Kiev. Oltre a un grosso camion, dall’Italia sono partiti sei van: quattro da Roma, uno da Milano e uno da Bologna. Lo schema è sempre questo: si va con un carico di aiuti, medicinali e beni di prima necessità; si torna con i profughi. Cinque tonnellate di materiali sono state raccolte dal comune di Bologna e andranno alla città gemellata di Kharkiv, martoriata dalle bombe russe.

«Mediterranea nasce per salvare le persone in pericolo lungo le rotte migratorie. Lo facciamo nel Mediterraneo centrale e dallo scoppio del conflitto ci siamo impegnati anche in Ucraina, mettendo al sicuro complessivamente 250 persone di sette nazionalità diverse», dice Denny Castiglione, capomissione. Stavolta in Italia ne arriveranno 28. Vengono soprattutto da Mariupol e Kherson. Tra loro ci sono feriti di guerra e disabili.

«Per entrare a Kiev siamo passati da Bucha e Irpin. Sono rimasta scioccata. Bucha è completamente distrutta. Case e palazzi civili sono stati sventrati. Molti hanno l’ultimo piano completamente incendiato. Ho pensato molto alla casualità di morire o restare vivi in una simile situazione», racconta la portavoce della missione Sara Alawia. Le attiviste e gli attivisti di Mediterranea hanno organizzato nella capitale diversi incontri istituzionali e con organizzazioni della società civile. Sono stati ricevuti dall’ambasciatore Pier Francesco Zazo, che si è complimentato per l’impegno e ha garantito l’appoggio dell’ambasciata nelle prossime carovane. Si sono riuniti con il nunzio apostolico in Ucraina, monsignor Visvaldas Kulbokas che, impegnato nell’iniziativa di pace di papa Francesco, non ha mai abbandonato Kiev e nei momenti peggiori ha avuto le truppe russe a poche centinaia di metri dalla propria casa.

«Il nunzio è stato tra i primi ad arrivare a Bucha e testimoniare il massacro. Ci ha raccontato scene orrende. Come quelle di bambine e bambini vittime di violenze sessuali», continua Castiglione. I partecipanti alla missione umanitaria sono rimasti colpiti dal clima spettrale di Kiev, città svuotata in cui nelle strade del centro, in mezzo alla devastazione, si sentono cinguettare gli uccellini.

Mediterranea ha incontrato anche il metropolita Epifanio, a capo della chiesa ortodossa ucraina, visitato l’Ukranian All Youth, centro giovanile riconvertito per la raccolta e l’invio di materiali a chi combatte al fronte, e discusso con gli attivisti del Non Violence International Network. «Ci hanno detto che, in questo momento, sono sotto attacco e dunque costretti a resistere – dice Alawia – Ma che, per il futuro, bisogna impegnarsi a costruire culture e pratiche di risoluzione non armata dei conflitti».

Ieri pomeriggio, dopo due giorni nella capitale, il convoglio umanitario ha ripreso la strada verso Leopoli. Da dove, insieme ai padri salesiani, organizzerà il trasferimento in Italia dei profughi. Anche nella città dell’ovest dell’Ucraina sono previsti incontri con diverse associazioni. «Oltre l’aspetto umanitario vogliamo tessere rapporti e aprire il confronto con la società civile. Un lavoro complesso ma necessario. Per adesso possiamo parlare solo con gli ucraini, ma ci piacerebbe relazionarci anche con le organizzazioni russe. Nonostante le difficoltà siano molto maggiori», conclude Castiglione.