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Medici di famiglia nel Ssn, la corporazione è già sul piede di guerra

Medici di famiglia nel Ssn, la corporazione è già sul piede di guerraAmbulatorio medico – foto LaPresse

Salute Secondo indiscrezioni ci sarebbe sintonia tra Ministro della Salute e regioni. Ma potrebbe essere un bluff

Pubblicato più di un anno faEdizione del 23 giugno 2023

Hanno aspettato meno di ventiquattr’ore. Poi i medici di famiglia hanno fatto capire forte e chiaro al ministro della salute Orazio Schillaci che non hanno alcuna intenzione di abbandonare la sanità privata per passare a quella pubblica. La presa di posizione è arrivata dopo una riunione tra il ministro e i presidenti di regione sulle ipotesi di riforma delle cure primarie, in cui i punti di incontro sono stati più del previsto. Gli amministratori locali hanno avanzato richieste già note, come l’aumento delle risorse finanziarie e la rimozione dei tetti di spesa per assumere nuovo personale. Ma secondo le indiscrezioni del sito specializzato QuotidianoSanità, solitamente ben informato, dalla delegazione degli amministratori locali è arrivata anche la richiesta di trasformare i medici di famiglia in dipendenti del Servizio sanitario nazionale. Attualmente, infatti, si tratta di liberi professionisti in convenzione, poco più di un corpo estraneo per la sanità pubblica.

La proposta troverebbe d’accordo Schillaci che sulla sanità territoriale si giocherà gran parte del suo mandato. Stando alle indiscrezioni, per il ministro la dipendenza è l’unico modo per far funzionare a pieno regime le 1.300 future Case di comunità previste dal Pnrr, in cui i cittadini dovrebbero accedere ai principali servizi di base e liberare i Pronto Soccorso per le reali emergenze. Il timore di ritrovarsi con 1.300 scatole vuote e di doverne rispondere agli elettori scontenti – la salute è competenza regionale – o, peggio, veder sfumare i fondi europei potrebbe aver schierato anche i governatori su misure più energiche per reperire il personale che vi lavori.

L’apertura delle Case prevede che i medici di famiglia abbandonino almeno in parte i loro studi privati, dove attualmente godono di una notevole libertà nel fissare i propri orari di lavoro ma di cui sostengono le spese di gestione. La presenza a tempo pieno di due medici di base nelle case di comunità richiede che gli attuali professionisti vi trascorrano dodici ore settimanali in aggiunta all’orario di studio. Sobbarcarsi le spese di un libero professionista ma sottostare ai vincoli di un dipendente rappresenta un ibrido improponibile. Perciò Schillaci vorrebbe rompere gli indugi, parificando il medico di famiglia ai colleghi degli ospedali e introducendo un’apposita scuola di specializzazione, in luogo dell’attuale corso regionale triennale.

Trasformare i medici di famiglia in dipendenti del Ssn rappresenterebbe una piccola rivoluzione non solo per il panorama italiano. Nell’Ue, solo in Portogallo i medici di base sono parte integrante del Ssn. Nemmeno al ministro Roberto Speranza, con i margini di manovra garantiti dall’emergenza pandemica, era riuscita. Ma se questa fosse l’intenzione reale, la strada è ancora lunga e accidentata.

Innanzitutto, la stessa maggioranza non sembra compatta: più volte lo stesso sottosegretario alla Salute in quota FdI Marcello Gemmato ha fatto capire che il progetto delle Case di comunità, già in forte ritardo, potrebbe essere addirittura depennato dal Pnrr. Inoltre, la possibile saldatura tra ministro e regioni agita l’associazione sindacale dei medici di famiglia Fimmg, che rappresenta oltre il 60% della categoria. Il segretario Silvestro Scotti, che ha incontrato Schillaci una settimana fa, nega che il tema sia all’ordine del giorno, provocando un piccolo giallo sulle reali intenzioni del governo. «Il confronto è avviato ma i punti da chiarire sono vari» è la versione di Scotti. «Al momento non è però in discussione il passaggio dei medici di famiglia al Servizio sanitario nazionale come dipendenti; si tratta di un’ipotesi che ci vede nettamente contrari e che non è ad oggi in agenda». C’è invece un’apertura riguardo alla formazione anche se, secondo la Fimmg il passaggio alla specializzazione «dovrà essere necessariamente graduale».

Tra i sindacati dei medici solo la minoritaria Fp Cgil spinge per la dipendenza. Nel corposo Manifesto per la medicina generale che domani porterà in piazza si rivendicano «quei diritti e quelle tutele che, solo superando il desueto rapporto di convenzione, potranno essere assicurati anche ai professionisti della medicina generale». Un modo per scoprire se quello del ministro è solo un bluff.

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