«May, dimettiti». I movimenti scendono in piazza nel «giorno della rabbia»
La contestazione Tre diversi cortei e centinaia di persone sfilano nella capitale. In attesa della protesta del 1 luglio organizzata dal Labour
La contestazione Tre diversi cortei e centinaia di persone sfilano nella capitale. In attesa della protesta del 1 luglio organizzata dal Labour
È l’estate bollente prima dell’autunno caldo. Ieri a Londra c’erano attorno ai trenta gradi, a ricordare come non sia solo la temperatura sociale a schizzare in alto. Nel giorno dell’apertura del parlamento con la lettura del Queen’s Speech e il successivo dibattito centinaia di persone sono scese in piazza per il day of rage, il giorno della rabbia, una giornata di mobilitazione che ha visto varie realtà extraparlamentari a sinistra del partito laburista organizzare tre manifestazioni simultanee per chiedere le dimissioni del non ancora nascituro governo di minoranza che Theresa May dovrebbe reggere grazie all’appoggio con gli unionisti del Dup.
Si tratta del prodromo di una mobilitazione ancora maggiore, fissata per il primo luglio, quando il Labour intende chiamare per le strade un milione di persone contro l’austerity.
Le manifestazioni erano in solidarietà con vittime della tragedia di Grenfell, il cui bilancio di vittime accertate è finora di 79, e con la speranza di identificare tutti ormai in declino. Si marcia perché i migranti residenti della torre maledetta ottengano il permesso di restare nel Paese e perché si occupino le ricche case sfitte della zona. Ma si vuole anche la pubblicazione di tutti i documenti delle aziende coinvolte nelle forniture della torre e i loro rapporti con il council di Kensington and Chelsea. A organizzare un corteo, il Movement for Justice By Any Means Necessary (MFJ), partito da Sheperd’s Bush, passato attraverso Piccadilly per convergere su Downing Street; il London Socialist Party si è invece dato appuntamento a Parliament Square nel pomeriggio per chiedere le dimissioni della premier con lo slogan «May must go!». La terza protesta, organizzata da Stand Up To Racism, prendeva di mira il Queen’s speech, il programma di governo. Tutto è finito con un sit-in relativamente pacifico davanti al parlamento.
Tutta la zona attorno agli edifici governativi era pesantemente militarizzata, con poliziotti in assetto da sommossa, cecchini sui tetti, strade chiuse, barriere anticarro. Per la prima volta anziché tollerare queste cose facendo finta di ignorarle, questo partito laburista si è schierato dalla parte dei manifestanti senza se e senza ma.
Incalzato dall’intervistatore radiofonico Bbc, John McDonnell, ministro ombra delle finanze – compagno di lotte e numero due di Jeremy Corbyn – ha parlato di «azione diretta» al posto di «insurrezione», legittimando la rabbia ma non la violenza. E di violenza non ce n’è stata, nonostante i giornali avessero insistentemente denunciato il rischio che gruppi anarchici di guerriglia urbana entrassero in azione come anche la «politicizzazione» della tragedia di Grenfell: come se non fosse già di per se perfettamente politica.
Nel frattempo, gli inquilini di Grenfell saranno smistati in sessantotto appartamenti di lusso nella zona ricca di Kensington, acquistati per il municipio dalla corporation of London, l’organismo della City.
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