May di nuovo in affanno: il vice si dimette per scandalo a luci rosse
Proprio mentre sembrava riprendere fiato nel doloroso sentiero della Brexit e dopo una serie di sinistri politici che avrebbero steso perfino un democristiano della prima repubblica, Theresa May si è […]
Proprio mentre sembrava riprendere fiato nel doloroso sentiero della Brexit e dopo una serie di sinistri politici che avrebbero steso perfino un democristiano della prima repubblica, Theresa May si è […]
Proprio mentre sembrava riprendere fiato nel doloroso sentiero della Brexit e dopo una serie di sinistri politici che avrebbero steso perfino un democristiano della prima repubblica, Theresa May si è persa il pezzo più grosso. Ieri Damian Green, il suo vice, alleato e potente remainer, è stato bruscamente dimissionato. A causarne la caduta, l’ormai classico del sessismo e della gratificazione sessuale, di questi tempi fonte d’indicibile sdegno nel commentariato liberale.
Stavolta le accuse sono equidistanti fra il reale e il virtuale, fra la carne e i bit. A portare giù Green non fu infatti il ginocchio della giornalista e simpatizzante Tory Kate Maltby, sul quale la mano del deputato si sarebbe tutt’altro che timidamente posata durante un ameno ciacolare in un pub di South London, bensì delle immagini pornografiche scaricate sul suo computer nel 2008 e poi passate al vaglio di Scotland Yard.
Sono almeno due i funzionari di polizia che avevano denunciato l’accaduto, ripetutamente smentito dall’interessato. Proprio questo mendace- negare costa ora a Green la poltrona, e a May uno dei suoi più affidabili soci.
La premier si è detta «estremamente dispiaciuta» per aver imposto a Green di farsi da parte. May si trova ora nuovamente nelle peste, dopo che era riuscita a rimettere in rotta la nave dei negoziati. Cedendo in buona sostanza su tutte le richieste di Bruxelles – diritti di cittadini europei in Uk, Brexit Bill, confine nordirlandese, ruolo della Corte di giustizia europea – era riuscita a passare alla sospirata fase due del negoziato, quella che dovrebbe stabilire i termini dei nuovi rapporti commerciali fra l’Ue e il suo ex-membro.
Il tutto mentre sul fronte interno il parlamento è stato impegnato per otto giorni nella delibera dello EU Withdrawal Bill, la legge che dovrebbe rimpiazzare 40 anni di leggi europee allo scoccare del 29 marzo del 2019 (data di uscita fissata dal governo) e che è stata fatta oggetto di raffiche di emendamenti da ambo le parti, oltre che a causare la prima sconfitta in aula per May.
La legge è contestata per lo spaventoso deficit democratico che implica: lascerebbe il governo libero di riscrivere ampie porzioni legislative senza consultare il parlamento, invocando prerogative reali risalenti a Enrico VIII, il quale se ne servì per legiferare a piacimento.
Attraverso questa porta spalancata i conservatori potrebbero disfarsi di quelle normative europee a tutela del lavoro e dei diritti dei richiedenti asilo che vedono da sempre come lacci e lacciuoli alla libera impresa.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento