A venti giorni dalle elezioni più attese, con il loro portato di intrinseco simbolismo (cento anni dalla fondazione della Repubblica di Turchia, dieci dal più grande movimento di opposizione all’autorità di Erdogan, Gezi Park), una maxi retata ha fatto piazza pulita di una buona fetta di opposizione di sinistra nel sud e dell’est a maggioranza curda del paese: 126 arresti (parte di una lunghissima lista di mandati di detenzione, almeno 216) in 21 province – da Diyarbakir la più colpita a Van, da Smirne a Urfa -, perquisizioni e confische di computer e documenti in 186 tra uffici e abitazioni private. Dettagli non ce ne sono: come riporta Human Rights Watch Europe, il fascicolo dell’inchiesta per terrorismo coordinata dalla procura di Diyarbakir non è accessibile.

MANETTE ai polsi di 25 avvocati, una decina di artisti, almeno dieci giornalisti di diverse testate, da Mesopotamia News Agency a Yeni Yasam e JinNews. Il resto sono politici e amministratori locali legati al Partito della Sinistra verde e all’Hdp, quel Partito democratico dei Popoli che mette insieme da anni il vasto spettro dei movimenti di sinistra turchi e curdi. L’accusa non è nuova: appartenenza a organizzazione terroristica, ovvero il Partito curdo dei Lavoratori (Pkk).

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È avvenuto tutto di mattina, in operazioni coordinate che hanno preso di mira la sinistra del paese, come non bastassero i migliaia di arresti degli ultimi anni, le decine di commissariamenti di enti locali e – tuttora in corso – un processo pendente alla Corte costituzionale per la messa al bando dell’Hdp.

Tra gli arrestati la vice presidente del partito Özlem Gündüz e Mahfuz Güleryüz, membro del comitato centrale. Un nuovo «golpe», lo definisce l’Hdp in una nota: «Dal 2015 il governo, che sta tentando di allungarsi la vita con colpi di stato politici, massacri, propaganda nera, metodi di guerra, minacce e ricatti, ha lanciato un nuovo golpe in vista delle elezioni del 14 maggio. Questa operazione serve a derubare il voto e la volontà del popolo».

PER QUESTO, secondo il partito, in prigione non sono finiti solo rappresentanti del partito, ma anche «gli avvocati che proteggeranno le urne elettorali e i giornalisti che informeranno il pubblico». Sulla stessa linea il Partito della Sinistra verde, formazione che correrà alle elezioni al posto dell’Hdp, minacciato di chiusura. Una scelta pressoché obbligata: in caso di sentenza negativa della Corte costituzionale, l’Hdp non avrebbe modo né tempo di lanciare in tempi stretti un partito che lo sostituisca.

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Non protestano solo loro: ieri comunicati sono giunti dall’Associazione degli avvocati progressisti, dall’Unione dei lavoratori della stampa e dalla Confederazione dei sindacati rivoluzionari. E dal carcere, dove è detenuto dal novembre 2016, ha parlato anche l’ex co-leader del Partito democratico dei Popoli, Selahattin Demirtas, che con un post su Twiter ha puntato il dito contro l’eminenza grigia del governo dell’Akp, il ministro degli Interni Süleyman Soylu.