Il governo turco ha rimosso ieri i sindaci delle città metropolitane di Diyarbakir, Mardin e Van accusati di presunti collegamenti con le forze curde del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche da Stati Uniti e Unione Europea.

I tre erano stati eletti lo scorso 31 marzo con il partito di sinistra filo-curdo Hdp, più volte accusato dal presidente Recep Tayyip Erdogan di intrattenere rapporti con l’organizzazione fondata da Abdullah Ocalan. Secondo Ankara, i co-sindaci (l’Hdp candida sempre due amministratori, un uomo e una donna) delle città commissariate lo scorso lunedì avrebbero “finanziato il terrorismo” e “diffuso materiale propagandistico”.

Il primo cittadino di Diyarbakir, Adnan Selçuk Mızraklı, ha accusato il governo di “non rispettare la volontà degli elettori”. Come del resto avvenuto tra il 2015 e il 2016 quando Ankara commissariò ben 96 comuni amministrati dall’Hdp, durante la campagna politica e militare contro il sud est a maggioranza curda.

Anche l’ex primo ministro Ahmet Davotoglu ha criticato la mossa di Ankara definendola “una violazione dello spirito democratico”. I sindaci sono stati rimpiazzati da fiduciari nominati dallo Stato, nonostante le proteste dei cittadini di Diyarbakir: la polizia ha utilizzato cannoni ad acqua contro i manifestanti, mentre il ministro degli Interni Suleiman Soylu faceva sapere su Twitter che le persone fermate ieri dalla polizia per sospetti collegamenti con il Pkk sono in tutto 418.

In mano all’Hdp  rimangono adesso solo cinque province del Paese, fra cui Hakkari e Kars. Dopo il fallito colpo di Stato del 2016, Ankara ha intensificato il giro di vite nei confronti dell’opposizione, con migliaia di arresti in tutto il paese, tra cui oltre cento sindaci e i co-leader di allora dell’Hdp, Selahattin Demirtaş e Figen Yuksekdag. Nel 2014 l’Hdp aveva vinto le elezioni in ben 102 distretti del paese.