Lo scorso 24 aprile, un giorno prima dell’anniversario del genocidio armeno, l’ospite di un programma in onda su Açık Radyo ha affermato: «Anche quest’anno, come sapete, la commemorazione del genocidio armeno è vietata».

Un mese dopo, il Consiglio supremo della radio e della televisione (Rtük) ha multato l’emittente (5500 Euro) e sospeso le trasmissioni per cinque giorni per «incitamento all’odio e all’ostilità». La radio ha pagato la multa e ha continuato a trasmettere, in attesa di ulteriori indicazioni. Tuttavia, il 3 luglio, Rtük ha revocato la licenza di trasmissione, sostenendo che la radio aveva violato le condizioni della sanzione.

IL CASO di Açık Radyo evidenzia due importanti problemi ancora presenti in Turchia: la libertà di espressione – innanzitutto quella di mettere in discussione i fatti storici – e il ruolo della censura. Il genocidio armeno non è riconosciuto ufficialmente ed è un grande tabù. Numerosi scrittori, storici, accademici e giornalisti hanno pagato a caro prezzo l’aver sostenuto l’esistenza del genocidio del 1915 in Anatolia o per aver usato la parola «genocidio». Eren Keskin e Güllistan Yarkın dell’Associazione per i Diritti umani (Ihd) sono state processate per anni per aver organizzato nel 2021 un evento di commemorazione. Il premio Nobel Orhan Pamuk e la scrittrice Elif Safak sono stati denunciati e processati per le loro dichiarazioni e le loro opere. Il giornalista armeno Hrant Dink, sostenitore della riconciliazione, è stato assassinato nel 2007.

In secondo luogo, il ruolo del Rtük. Fondato nel 1994 per supervisionare le trasmissioni radio-televisive in Turchia, il Consiglio agisce come un organo di censura. Dall’uso del termine “Lgbt” al comportamento degli attori, dalle dichiarazioni nei dibattiti politici fino alle immagini di una scultura nuda, tutto può finire nel mirino del Rtük, che non esita a imporre multe e sospensioni. Forse l’apice della sua “opera” si è avuta con lo stato d’emergenza dichiarato dopo il fallito colpo di stato del 15 luglio 2016: 37 canali televisivi e radiofonici chiusi permanentemente.

OGGI LA TURCHIA RISCHIA di perdere un altro dei suoi importanti canali radiofonici. Fondata nel 1995, Açık Radyo è stata un punto di riferimento per diverse opinioni, melodie, voci e lingue. Nata con lo slogan «aperta a tutte le vibrazioni, alle voci e ai colori dell’universo», è un collettivo con 92 stakeholder e una redazione aperta ai soci e agli ascoltatori.

Diverse organizzazioni internazionali, come Freedom House, Pen International, Committee to Protect Journalists, International Press Institute, European Centre for Press and Media Freedom e in Italia Articolo21, hanno chiesto la restituzione immediata della licenza, sostenendo che il caso rientra nell’ambito della libertà di espressione garantita dal diritto internazionale sui diritti umani. Açık Radyo ha comunicato il 10 luglio che è in corso un ricorso giudiziario. In questo momento, è fondamentale che la solidarietà internazionale continui a crescere.