Erdogan invita a rompere con Israele, ma non chiude le sue «valvole del genocidio»
Parole e fatti Metà del fabbisogno petrolifero di Tel Aviv viene dall'Azerbaigian e passa attraverso i porti turchi. Proteste e appelli. Da Baku l'organizzazione Oil Change International chiede a Ankara azioni concrete: «Serve un vero embargo energetico»
Parole e fatti Metà del fabbisogno petrolifero di Tel Aviv viene dall'Azerbaigian e passa attraverso i porti turchi. Proteste e appelli. Da Baku l'organizzazione Oil Change International chiede a Ankara azioni concrete: «Serve un vero embargo energetico»
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan alla Cop29 di Baku ha invitato tutte le nazioni a interrompere ogni tipo di relazione con Israele. Tornando dall’Azerbaigian, paese ospitante, ha dichiarato che la Turchia aveva già interrotto le relazioni politiche e commerciali con Tel Aviv. Ma sono affermazioni che non corrispondono alla realtà.
SONO STATI NECESSARI sei mesi di guerra a Gaza, a partire dal 7 ottobre, numerose manifestazioni di piazza e una sconfitta elettorale perché il governo centrale turco decidesse, nel maggio di quest’anno, di sospendere gradualmente e temporaneamente le relazioni commerciali con Israele. Relazioni che, nonostante anni di occupazione e governi fondamentalisti guidati da Netanyahu, erano sempre cresciute.
Dopo questa decisione, si è scoperto che il “re” non era vestito come sosteneva. Il giornalista turco in esilio Metin Cihan ha rivelato dalla sua piccola dimora in Germania, dove vive da qualche anno, che numerose aziende private turche, insieme ad alcune statali, avevano continuato a mantenere rapporti commerciali con Tel Aviv sia prima che dopo la decisione di Ankara, che di fatto non esisteva.
Tra gli imprenditori che continuavano a fornire materiali strategici a Tel Aviv, compresi quelli per l’industria bellica, vi erano numerosi soggetti legati ai partiti della coalizione governativa. Cihan racconta che «nei documenti ufficiali di alcuni ministeri compare la “Palestina” come destinazione di merci, tra cui l’acciaio, essenziale per l’industria bellica». La Turchia, a lungo principale fornitore di Israele, ha visto il commercio di acciaio con la Palestina crescere dai 587 mila dollari del 2023 a 86 milioni quest’anno: un dato abnorme per un territorio bombardato e privo di industria autonoma.
NEL FRATTEMPO, l’azienda bellica turca Baykar, guidata dal genero di Erdogan, ha organizzato e sostenuto due fiere, in Azerbaigian e in Turchia, a cui hanno partecipato anche diverse aziende militari israeliane. Tra le prove della complicità del governo turco nel genocidio palestinese vi è il ruolo della Turchia come snodo per l’azienda azera Socar. Il petrolio dall’Azerbaigian arriva ai porti turchi e viene spedito in Israele. Baku fornisce circa il 50% del fabbisogno petrolifero israeliano, contribuendo quindi al genocidio, con Ankara come intermediaria.
Questo fatto, più volte denunciato in piazza da collettivi turchi, è stato represso a colpi di manganello. Cihan aggiunge un dettaglio nuovo: «Il 15 novembre, Özlem Zengin, parlamentare del partito al governo, ha ammesso che la Turchia guadagna 1,27 dollari per ogni barile di greggio azero».
L’11 novembre, grazie alla visibilità di Greta Thunberg, è stato lanciato un appello internazionale di protesta contro le rappresentanze diplomatiche della turche nel mondo, con lo slogan: «Chiudere le valvole del genocidio».
Contemporaneamente, nei porti turchi di Istanbul, Mersin e Kocaeli centinaia di persone hanno protestato, tentando di sabotare l’arrivo di navi logistiche israeliane, nel fumo acre dei lacrimogeni sparati dai poliziotti. Tra i bersagli della protesta figura la Zim Integrated Shipping Services, nota per il trasporto di materiali bellici e pezzi di ricambio per armi. Le indagini del collettivo Filistin için 1000 genç («1000 giovani per la Palestina») hanno mostrato che queste aziende utilizzavano indisturbate i porti turchi per continuare a sostenere economicamente e logisticamente Tel Aviv.
E MENTRE IL PRESIDENTE Erdogan cercava di manipolare i fatti durante la Cop29, l’organizzazione Oil Change International ha smentito questa narrazione. «Noi palestinesi chiediamo azioni concrete per fermare il genocidio in corso. Chiediamo un vero embargo energetico contro Israele. Sappiamo che il 50% del fabbisogno petrolifero di Israele arriva attraverso la Turchia. Chiediamo al governo turco di prenderne atto immediatamente».
Ma il governo turco cerca di vendere a livello interno la bugia delle relazioni interrotte, mentre dietro le quinte la collaborazione per mantenere la macchina della guerra di Israele continua a funzionare.
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