Internazionale

I curdi non invitati

Una manifestazione a Roma per il leader curdo Ocalan foto Vincenzo Livieri/LaPresseUna manifestazione a Roma per il leader curdo Ocalan foto Vincenzo Livieri/LaPresse

Medio Oriente Notizie straordinarie dalla Turchia. A Öcalan, il leader del Pkk in isolamento dal 1999, è stata concessa una visita dopo quattro anni. E le prove di dialogo con il governo promettono sviluppi

Pubblicato circa 3 ore faEdizione del 1 novembre 2024

Il 22 ottobre, Devlet Bahçeli, leader del Partito del movimento nazionale (Mhp) e alleato del partito al governo, ha invitato Abdullah Öcalan, storico leader del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), a dichiarare la fine della lotta armata e lo scioglimento del Pkk direttamente dal gruppo parlamentare del Partito dell’uguaglianza e della democrazia dei popoli (Dem), partito d’opposizione. Bahçeli ha enfatizzato che l’unico interlocutore per porre fine alla guerra sarebbe stato Öcalan, escludendo il Pkk e l’ex leader del Dem, Selahattin Demirtas, incarcerato dal 2016.

Dopo questo sorprendente invito, in Turchia si sono succeduti sviluppi inattesi.

IL GIORNO SUCCESSIVO, la fabbrica militare Tusas ad Ankara ha subito un attentato in pieno giorno, con la morte di cinque dipendenti e dei due attentatori, oltre al ferimento di 22 persone. Poco dopo, le immagini delle telecamere di sicurezza, che mostrano gli attentatori a volto scoperto e facilmente identificabili, erano già in circolazione. Il giorno dopo, il Pkk ha dichiarato che l’attacco, organizzato un mese prima da una formazione affiliata, «non è legato ai nuovi sviluppi». Ha destato perplessità che un’azione di tale portata avvenisse proprio all’indomani dell’appello a Öcalan.

La guerra per eliminare il Pkk è fallita. La crisi, le dinamiche mediorientali e il ruolo di Öcalan spingono a cambiare posizione. Ma con Ankara bisogna essere cauti Nursel Aydogan

Poche ore dopo, le forze armate turche hanno colpito il nord-est della Siria, nella regione di Rojava. Secondo i ministri della Difesa e degli Interni, gli attentatori erano entrati in Turchia da quella zona, dove avevano ricevuto addestramento. Nei primi bombardamenti sono state uccise oltre dieci persone e colpite infrastrutture civili. Le forze armate turche sostengono di aver colpito solo postazioni del Pkk, ma Mazloum Abdi, comandante delle Forze democratiche siriane (Sdf), ha parlato di «crimine di guerra».

NELLE PRIME ORE del 24 ottobre, la Turchia si è svegliata con una notizia straordinaria: Abdullah Öcalan, leader del Pkk condannato all’ergastolo e in isolamento dal 1999 sull’isola di Imrali, aveva ricevuto una visita dopo quasi quattro anni. Suo nipote, il parlamentare Omer Öcalan del partito Dem, ha dichiarato di averlo incontrato il giorno precedente, quello dell’attentato di Ankara. Il messaggio di Öcalan è stato questo: «L’isolamento continua. Se si verificano le condizioni, ho il potere teorico e pratico di spostare questo processo dal conflitto e dalla violenza al terreno legale e politico».

Era evidente che tra alcuni organi dello Stato e Öcalan si stesse sviluppando un dialogo. La risposta di Öcalan rifletteva la sua disponibilità. Nonostante l’attentato, dal governo e dal leader nazionalista Bahçeli non erano arrivati messaggi aggressivi né cambi di tono; anzi, giorni dopo Bahçeli ha ribadito il suo appello. La Turchia si trovava così in una nuova fase, sebbene ancora poco chiara.

NEL FRATTEMPO, sono giunti due segnali importanti dai vertici del Pkk. Helin Ümit, membro del Comitato centrale, in un’intervista a Medya Haber, ha dichiarato con cautela: «Abbiamo la forza e la determinazione per arrivare alla liberazione con la guida di Öcalan. Siamo di fronte a un piano di guerra speciale; sarebbe imprudente aspettarsi conseguenze positive da questa proposta. Abbiamo pochi dettagli su ciò che intende fare lo Stato turco e nutriamo poca fiducia in Bahçeli».

Anche Murat Karayılan, membro del Comitato esecutivo del Pkk, ha dichiarato in un’intervista a Yeni Özgür Politika: «La Turchia attua una politica di operazioni continue. Stiamo sviluppando una nuova strategia più avanzata, sia fisicamente che tecnicamente, e lavoriamo con pazienza per agire nel momento e nel luogo giusto nel nord. In questo periodo è più appropriato inviare messaggi di tanto in tanto».

I GIORNALI FILOGOVERNATIVI hanno iniziato a cambiare registro, suggerendo un possibile nuovo percorso verso la pace. Tuttavia, i media e alcuni esponenti del movimento nazionalista si sono mostrati scettici o contrari. Bahçeli, che nel 2007 invitava a impiccare Öcalan e fino a qualche mese fa chiedeva la chiusura del Dem e l’arresto dei suoi parlamentari, ora considera il partito come il luogo adatto per l’espressione di Öcalan.

Yüksel Genç, ex membro del Pkk che nel 1999 era rientrata in Turchia con il “gruppo per la pace” su invito di Öcalan, analizza la situazione attuale: «Se il Mhp e Bahçeli si muovono per un cambiamento, il governo è in grave crisi economica e politica. Le condizioni internazionali e le dinamiche in Medio Oriente spingono Ankara a prendere decisioni. Forse ci si rende conto che i conflitti in Iran potrebbero rafforzare il protagonismo curdo. Il regime turco cerca un rapporto pragmatico con i curdi». Secondo Genç Öcalan è l’interlocutore principale e la scelta di Bahçeli è corretta, ma presto anche Demirtas e altri attori entreranno in gioco, poiché Öcalan unisce il movimento curdo. Tuttavia, la richiesta del governo di porre fine alla lotta armata non è una soluzione, dato che emerge in risposta alle politiche repressive che continuano a colpire i curdi.

NURSEL AYDOGAN, ex parlamentare dell’Hdp (nuovo Dem) ora in esilio in Germania, ha collaborato durante il dialogo tra Stato e Öcalan dal 2013 al 2015, insieme ad altri parlamentari dell’Hdp e al Pkk. «Nonostante il fallimento, il popolo curdo non ha mai abbandonato la ricerca di una risoluzione pacifica, continuando a lottare e pagando un prezzo altissimo. Dal 2015, il governo ha investito quasi tutte le sue risorse per eliminare il Pkk, ma la guerra non ha prodotto risultati. La crisi economica, le dinamiche in Medio Oriente e il ruolo di Öcalan come figura di risoluzione spingono lo Stato a cambiare posizione. Tuttavia, bisogna essere cauti riguardo alle proposte di questo governo».

Amberin Zaman, giornalista turca di Al-Monitor, ipotizza che la scelta di Ankara possa essere legata a una possibile vittoria di Donald Trump alle elezioni statunitensi: «Sia in Iraq che in Siria, gli americani potrebbero ritirarsi, lasciando ai loro alleati le armi, come accaduto in Afghanistan. In questo contesto, Ankara potrebbe già cercare di prendere posizione per difendersi da una potenziale ondata di scontri con il Pkk presente in queste aree».

Kadri Gürsel, presidente dell’International Press Institute in Turchia, ritiene che si tratti di un piano di salvataggio del governo: «L’attuale presidente ha bisogno di cambiare la Costituzione per essere rieletto nel 2028. Il governo perde sempre più sostegno popolare e il Dem si trova in una posizione politica difficile. Credo che si tratti di un accordo pragmatico, non di una vera soluzione democratica».

IL 30 OTTOBRE, mercoledì scorso, il presidente Erdogan ha espresso sostegno alla proposta del suo alleato Devlet Bahçeli, anticipando che presto il governo annuncerà notizie positive per la sicurezza dei confini e dei cittadini. Lo stesso giorno, Mazloum Abdi parlando all’agenzia Afp ha riferito che alcuni attori stanno tentando di creare un percorso di dialogo militare e politico tra l’Sdf e Ankara.

Sembra quindi che sia stato avviato un nuovo percorso, sebbene con pochi dettagli e certezze. In ogni caso, potrebbe trattarsi di una lunga strada che porterà cambiamenti significativi sia per la Turchia che per il Medio Oriente.

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