Max Liebermann, il berlinese tra modernità e retroguardia
A Roma, Casa di Goethe Influenzato dai maestri olandesi (Hals, Rembrandt), Max Liebermann si aprì all’impressionismo, si adagiò, poi aderì alla Sezession, per finire «degenerato»: una piccola mostra sul rapporto con l’Italia
A Roma, Casa di Goethe Influenzato dai maestri olandesi (Hals, Rembrandt), Max Liebermann si aprì all’impressionismo, si adagiò, poi aderì alla Sezession, per finire «degenerato»: una piccola mostra sul rapporto con l’Italia
Max Liebermann (1847-1935) è stato un importante pittore tedesco che, sebbene protagonista della scena artistica europea a cavallo tra XIX e XX secolo, il pubblico italiano conosce ancora davvero poco. A questa spiacevole lacuna tenta ora di rimediare la mostra Max Liebermann. Un impressionista di Berlino, a cura di Alice Cazzola, fino al 9 febbraio 2025 presso il Museo Casa di Goethe di Roma.
La mostra intende offrire una panoramica sulla carriera di Liebermann compendiando quasi sessant’anni di attività in trentadue opere ordinate in nuclei tematici. La selezione è significativa, filologicamente accurata negli accostamenti, e però ristretta rispetto alla vasta produzione di Liebermann: il piccolo, accogliente spazio del museo, infatti, facilita la fruizione ma inevitabilmente limita la quantità dei lavori esposti. Le opere – dipinti, disegni e stampe – provengono dalla Max-Liebermann-Gesellschaft Berlin e.V., da varie collezioni private e dallo stesso Museo Casa di Goethe.
Nato in un’agiata famiglia ebrea originaria della Prussia, Max compie gli studi a Berlino ma si dimostra presto riluttante all’idea di entrare nell’azienda tessile dei suoi; così, dopo un’infruttuosa parentesi universitaria, nel 1868 strappa il consenso dei genitori a frequentare la Scuola d’arte del Granducato di Weimar. Qui sviluppa una passione per la grande tradizione pittorica olandese, da Rembrandt a Hals, che traduce in realistiche rappresentazioni di vita rurale; la critica lo bolla come «pittore dei poveri» ma ciò non scoraggia qualche facoltoso imprenditore dall’acquistare le sue opere. La sua passione lo spinge a visitare con cadenza quasi annuale i Paesi Bassi, a partire dal 1871 fino allo scoppio della Prima guerra mondiale. Terminati i corsi a Weimar, si trasferisce a Parigi e vi soggiorna dal 1873 al 1878; qui conosce gli artisti di Barbizon, espone al Salon e affina il gusto per la nuova pittura di matrice impressionista.
Rientrato in Germania, si stabilisce prima a Monaco e poi, nel 1884, definitivamente a Berlino; sposa quindi Martha Marckwald (1857-1943), anch’essa proveniente da una prospera famiglia ebraica berlinese, la quale, sopravvissuta al marito negli anni terribili del nazismo, avrà un destino infelice e un ruolo cruciale nella dispersione postuma dei lavori di Liebermann.
Intorno alla fine del secolo Max trova la propria formula espressiva e si specializza nella raffigurazione di amene scene di svago borghese, rese attraverso una personale interpretazione dell’impressionismo: bagnanti in riva al mare, passeggiate eleganti, ritratti, tutti temi graditi ai collezionisti che ne decretano il successo commerciale. Gli anni degli scandali sono finiti e la sua arte, aggiornata nello stile ma socialmente più conformista, riscuote ampi consensi di pubblico e critica.
Nel 1890 diventa membro dell’Accademia; tuttavia dal 1899 condivide lo scontento contro la troppo miope politica culturale dell’Associazione degli artisti berlinesi (Verein Berliner Künstler), controllata dallo Stato, e della Reale Accademia delle Belle Arti (Königliche Akademie der Künste). La Grande Mostra d’arte di Berlino (Große Berliner Kunstausstel-lung), organizzata annualmente dall’Associazione e dall’Accademia, pur ottenendo consensi incentiva insopportabili tendenze nazionalistiche e antimoderne, tanto che nel 1898 il rifiuto di esporre un paesaggio di Walter Leistikow spinge un gruppo di sessantacinque artisti a costituire la Secessione di Berlino: Liebermann ne è membro fondatore insieme a Lovis Corinth e Max Slevogt, nonché primo presidente – carica che mantiene a lungo.
Seguono anni fecondi e ricchi di riconoscimenti che culminano nel 1920 con la nomina a presidente dell’Accademia Prussiana delle Arti. Nel frattempo trova modo di pubblicare nel 1916 per Bruno Cassirer Die Phantasie in Der Malerei, breve saggio messo a punto nel periodo di docenza a sostegno dell’arte impressionista in reazione alle nuove tendenze espressioniste.
Già innovatore e secessionista, Liebermann si ritrova su posizioni conservatrici. Eppure nel 1933 viene anche lui inghiottito dal gorgo della follia antisemita nazista: gli è fatto divieto di dipingere ed è costretto a dimettersi dall’Accademia; viene annoverato tra i rappresentanti dell’arte degenerata. Non si perde d’animo: «Mi rallegro di essere tornato un “artista indipendente” il quale cerca di risolvere i compiti che si prefigge senza preoccuparsi delle meschine gelosie che nascono da invidiosa concorrenza o da altri motivi di odio».
Nella sua concisione, l’iniziativa del Museo Casa di Goethe è anche l’occasione per approfondire i legami tra Liebermann e l’Italia. Il catalogo (Max Liebermann in Italia, a cura di Cazzola, Lucy Wasensteiner e Gregor H. Lersch), concepito per accompagnare sia la mostra romana che quella appena tenuta a Berlino presso la Liebermann-Villa am Wannsee (Andiamo in Italia! Con Liebermann a Venezia, Firenze e Roma), raccoglie contributi focalizzati sui viaggi e i rapporti internazionali di Liebermann, specie quelli con l’Italia. In effetti, sebbene l’artista consideri i Paesi Bassi quale patria artistica d’elezione e risenta profondamente della moderna pittura francese, intesse con l’Italia un proficuo rapporto, fatto di occasioni professionali e ispirazioni. Tra il 1878 e il 1913 visita Venezia, Firenze, Roma e Napoli; partecipa alle prime Esposizioni Internazionali d’Arte della città di Venezia, e all’Esposizione internazionale d’Arte a Roma per i cinquant’anni dell’Unità d’Italia del 1911; espone in numerose collettive guadagnando la stima dei rappresentanti della scena artistica locale, come dimostra il fatto che la direzione delle Gallerie degli Uffizi gli commissiona un autoritratto per la propria collezione.
Roma in particolare deve aver esercitato un fascino speciale sul pittore berlinese, dacché Liebermann ha scelto di decorare la loggia della propria villa sul Wannsee – il suo buen retiro immortalato in tanti quadri della maturità – con una pittura parietale ispirata all’affresco del giardino che adornava la Villa di Livia presso Prima Porta a Roma – a lungo dimenticato e riscoperto solo nel 2003-’04, il dipinto di Wannsee è stato recentemente oggetto di restauro e studi. Ma nonostante i legami professionali e le suggestioni archeologiche, il sentimento di Liebermann per l’Italia rimane segnato dall’insofferenza per una moda culturale per cui apparentemente non si poteva fare o parlare di arte senza riferimenti all’arte italiana: «Molte strade portano a Roma, ma ogni artista deve percorrere la propria».
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento