Maurizio Valenzi, il sindaco rosso in un film
Il documentario Il Pci napoletano degli anni settanta nel film di Alessandro Scippa
Il documentario Il Pci napoletano degli anni settanta nel film di Alessandro Scippa
«Ancora oggi, quando passo in via dei Fiorentini, mi batte di nuovo forte il cuore davanti al garage che ha preso il posto della storica sede del Pci vicino piazza Matteotti, pensando alle riunioni piene di fumo, ai comizi dalle finestre, alle nottate di discussioni». Quasi mezzo secolo fa, nel 1975, a Napoli, ci fu una grande affermazione elettorale del Pci, con il 32,3% di voti, e fu eletto sindaco di un esecutivo di minoranza, Maurizio Valenzi, antifascista perseguitato dal regime e artista, personaggio carismatico di brillante oratoria e bella presenza. Mettendo insieme una squadra di persone che credevano nella reciproca collaborazione per il bene comune e nella possibilità di cambiare la città, Valenzi restò al municipio fino al 1983 grazie al consenso popolare e al voto tecnico di altre forze politiche in occasione dell’approvazione del bilancio.
Quell’esperienza, con la sua carica di valori e ideali che la caratterizzarono, è rievocata, raccontata per le generazioni giovani o incanutite, nel docufilm La Giunta di Alessandro Scippa, figlio di Antonio, assessore al bilancio (scomparso l’anno scorso, a cui il film è dedicato) di quella compagine eterogenea, di un gruppo di donne e uomini che hanno cercato di realizzare il sogno di una politica vicina alle persone. Il buongoverno di Valenzi, il sindaco rosso, il primo cittadino comunista, gli attirò l’attenzione internazionale riuscendo a incanalare le speranze di gran parte della popolazione per una società più giusta in mille attività, dai servizi sociali per i bambini alle iniziative per le zone più disagiate. «Avanti popolo alla riscossa, c’era un contagioso entusiasmo, un’eccitazione indescrivibile, davvero c’era la speranza di poter costruire una città diversa, la voglia di una società più giusta, la sensazione di mutamenti importanti a portata di mano» dice Mimmo Jodice, il fotografo di successo, che seguì le varie fasi di quella stagione positiva.
Attraverso interviste ai protagonisti dell’epoca, come Eugenio Donise ed Emma Maida, Berardo Impegno e Antonio Bassolino – tutti a vario titolo coinvolti in quella svolta storica – e materiale di archivio inedito, scorrono alcuni momenti chiave, la festa dell’Unità nazionale a Napoli nel 1976 con oltre duecentomila persone ad ascoltare il comizio conclusivo di Enrico Berlinguer, in quei luoghi della Mostra d’Oltremare, oggi abbandonati e fatiscenti proprio come il grande capannone dell’Italsider, arrugginito e cadente, a Bagnoli dove lavorava Aldo, il padre di Antonella di Nocera, attivista culturale e produttrice del film. Il confronto tra le grandi speranze del passato e la confusione, la solitudine individualista dei tempi attuali è duro, lacerante, tristissimo.
È anche una storia di padri e figli, di eredità di pensiero, di esempi che a distanza di decenni continuano a parlare alla modernità. Ed ecco, allora, Lucia e Marco Valenzi, i figli del primo cittadino, rievocare lettere, confronti vibranti e situazioni difficili, le sfide da far tremare le vene e i polsi che Valenzi accettò. «Napoli rappresenta il compito più pesante che io abbia mai avuto nella mia vita politica -confessò – Anche quello più appassionante. Quello più profondo. E ci resterò legato come una delle cose più interessanti, ma anche più dolenti della mia vita».
Un docufilm ricavato da tanti colloqui, molto personali e circostanziati, coi protagonisti (in gran parte scomparsi) di quella felice esperienza e i giornalisti, gli amici, i testimoni di quella vicenda unica, con una forte partecipazione politica e con un profondo collegamento con la classe operaia, il ceto medio, le classi popolari e subalterne («un esperimento di patafisica, la disciplina delle soluzioni immaginarie» per la bravissima cronista Nora Puntillo).
Un frammento palpitante è la trasmissione di una tv privata, Il sindaco risponde, dove Valenzi realmente affrontava le telefonate in diretta degli spettatori con le richieste più varie, dalle graduatorie per gli alloggi popolari alle inevitabili richieste di un lavoro qualunque sia, cercando di evidenziare il nuovo corso, l’attenzione alla legalità contro clientelismi e intrallazzi, l’importanza delle regole contro il malcostume delle raccomandazioni.
«Io, mio padre lo vedevo solo la sera a casa e tante volte andavo a letto senza aspettarlo» racconta Federico Geremicca, oggi giornalista – il figlio di Andrea, storico dirigente e colonna del Pci partenopeo – che prova a intrecciare i fili delle svariate conversazioni, nel segno di un’esperienza totale dove si doveva sacrificare il privato, la famiglia e gli affetti più cari in nome di qualcosa di superiore.
Quella era la vita quotidiana nel Partito Comunista degli anni ’70 in Campania, con una ramificata rete di sezioni nel territorio, un termometro importante per condividere le esperienze collettive. E una grande volontà di contare, di prendere posizione sulle tematiche più ardue, dal traffico ingovernabile alle fabbriche in difficoltà. E quel modo di essere comunisti tra volantinaggi in piazza e diffusione del giornale L’Unità, manifestazioni di solidarietà e bandiere rosse al vento. C’è una carica di tenerezza e umanità, di ammirazione per quelle donne che tenevano insieme le famiglie e quei padri impegnati in estenuanti trattative e molta autobiografia per il regista affascinato dalla politica al servizio dei bisogni della gente.
Col terremoto del 1980 (rievocato in una magnifica lettera interpretata da Renato Carpentieri) e gli interessi economici della ricostruzione, si modificarono gli equilibri politici e criminali togliendo spazio alla voglia di riscatto della comunità. Il più forte partito comunista d’occidente si è squagliato dopo la caduta del Muro di Berlino, tramutandosi in fantasmatici ectoplasmi di partito.
Quei forti legami sociali e culturali di massa si sono inariditi definitivamente. Un esercizio di memoria dove i frammenti di immagini, negli specchi e nelle rifrazioni dell’oggi, nostalgicamente si confrontano con il passato. Le storie individuali si compongono e si rifrangono dentro la storia stessa del paese, con quei valori civili legati a quel periodo irripetibile, con quella straordinaria intensità di tante battaglie «giuste» che davano senso alla vita d’ogni giorno.
Prodotto da Parallelo 41 di Antonella di Nocera, con il sostegno di Luce Cinecittà in collaborazione con l’Archivio Audiovisivo del Movimento operaio e democratico, il docufilm è stato presentato al Festival di Torino, in anteprima a Roma e Napoli e poi ha girato per le grandi città del nord, riportando in circolo «quell’aria leggera che ci piglia pe’ mano» (come canta Canio Loguercio, autore delle belle musiche insieme a Leandro Sorrentino), quell’aria di libertà di mezzo secolo fa, quell’aria leggera per cui hanno combattuto i militanti di allora e continuano a sognare quelli di oggi.
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