Europa

Maslennikov (Oxfam): «In Europa ci sono paesi-paradisi fiscali, le regole vanno cambiate»

Misha Maslennikov (Oxfam Italia)Misha Maslennikov, policy advisor di Oxfam Italia

Intervista La sentenza della Corte di Giustizia Europea ha condannato Google e Apple con sanzioni miliardarie record. Misha Maslennikov, policy advisor di Oxfam Italia, descrive la concorrenza fiscale sleale che si fanno gli stati europei per attrarre le multinazionali a danno dei cittadini e dei lavoratori

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 11 settembre 2024

Misha Maslennikov, policy advisor di Oxfam Italia, ci sono stati europei che fanno concorrenza fiscale sleale. La sentenza della Corte di Giustizia Europea sul caso Apple ne è la prova?
Oggi esistono diverse liste di paradisi fiscali societari cioè di paesi con fiscalità d’impresa particolarmente agevolata. Le hanno stilate, tra gli altri, Oxfam e il Tax Justice Network. Alcuni Stati membri dell’Unione Europea vi occupano posizioni di tutto riguardo. Fungono da punto di transito, o di approdo artificiale, di utili realizzati in Stati a fiscalità medio-alta d’impresa che vedono, di conseguenza, erosa la propria base imponibile. I paesi-paradiso fiscali sviliscono l’idea di una competizione sana incardinata su innovazione, infrastrutture e capitale umano.

Cosa accade in Italia?
Siamo tra le vittime dell’elusione fiscale internazionale. Nel 2019 sono evaporati circa 29 miliardi di dollari di profitti, il 90% dei quali si è materializzato in Belgio, Malta, Cipro, Irlanda, Lussemburgo e Paesi Bassi. Ciò ha comportato una perdita di gettito fiscale di 7 miliardi di dollari. Sono le stime fatte dagli economisti Thomas Torslov, Ludvig Wier e Gabriel Zucman.

Dopo la sentenza di ieri il governo irlandese ha detto che rispetterà la richiesta della Corte. Quelli precedenti però hanno giustificato i mega sconti fiscali a Apple dicendo che così creano occupazione. Ma questo non significa che hanno tolto ai loro cittadini 13 miliardi di servizi sociali?
Certo. E il vero danno, in termini di sottrazione di preziose risorse erariali, non riguarda solo i cittadini irlandesi. Apple ha beneficiato di vendite sui mercati di tutti i paesi europei, nel Medio Oriente, nel Nord Africa e in India. Gli acquisti di I-phone, I-pad e Mac effettuati nei negozi sotto casa sono stati contabilmente registrati in Irlanda e soggetti a tassazione irrisoria. I consumatori erano persone in carne ed ossa, la corporation una presenza eterea e fiscalmente assente.

Apple ha sostenuto ieri di avere pagato le tasse in maniera corretta. Come lo spiega?
È quello dicono sempre Apple e le altre major in casi del genere. È c’è, paradossalmente, del vero in quello che sostengono!

Perché?
Apple non ha violato alcuna normativa fiscale interna e gli accordi negoziati con l’Irlanda rientravano a pieno titolo nel perimetro dell’autonomia e sovranità fiscale degli Stati membri dell’Unione Europea. Quello che è discutibile, per quanto lecito, è il modus operandi dell’azienda. Ha assegnato contabilmente gli utili dalle vendite dei propri prodotti in tutta Europa a un’entità del gruppo del tutto fittizia, non ubicata in alcuno Stato e priva di dipendenti ed uffici.

Cosa hanno fatto le autorità irlandesi con questa «entità»?
Le hanno accordato un trattamento selettivo, in contrasto con il diritto antitrust europeo. Lo ha definitivamente stabilito ieri la Corte di Giustizia. Ciò ha permesso alle controllate irlandesi di Apple di versare un’aliquota effettiva dell’1% nel 2003 scesa allo 0.005% nel 2014.

E l’Italia?
Se parliamo della fiscalità d’impresa, il nostro paese non può essere annoverato tra i paradisi fiscali. La concorrenza fiscale non riguarda però solo il sistema di tassazione delle imprese. L’Italia,rispetto al resto d’Europa, può infatti considerarsi vero e proprio paradiso fiscale sulle imposte di successione e non disdegna forme di concorrenza fiscale dannosa sulla tassazione personale. Si pensi al regime preferenziale per i neo-residenti introdotto in Italia per attrarre i ricchi d’oltreconfine.

Ritiene che la prossima Commissione europea sarà in grado di contrastare la pianificazione fiscale aggressiva delle multinazionali e la concorrenza fiscale dannosa tra gli Stati?
Il caso Apple ci mostra come adottare un approccio caso per caso e cercare di contrastare gli abusi fiscali intra-Unione Europea con il diritto antitrust è arduo e dispendioso. Non voglio affatto dire che le istruttorie della Commissione Europea non siano apprezzabili. Tutt’altro! Sono purtroppo l’unico strumento precettivo di cui la Commissione dispone.

Ma allora cosa serve per risolvere questo problema?
Serve un nuovo impulso legislativo per chiudere scappatoie legali esistenti e arginare il dumping comunitario. La sensibilità della Commissione su questo è elevata e la risonanza del caso Apple può senz’altro fornire “capitale politico” all’esecutivo europeo. Ma ricordiamoci che, se le regole decisionali attuali non cambiano, le proposte di direttive fiscali della Commissione necessitano del consenso unanime degli Stati membri. E i paesi-paradisi sono sempre pronti ad alzare le barricate

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