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Martin Amis, ora e da sempre lontano dall’inferno della stupidità

Martin Amis, ora e da sempre  lontano dall’inferno della stupiditàChristopher Hitchens e Martin Amis a Parigi nel 1980, ritratti da Angela Gorgas

Scrittori britannici In bilico tra autobiografia e romanzo, «La storia da dentro», ora edito da Einaudi, rivisita amori e amicizie sotto la luce deformante del tempo: l’ultimo lavoro, fluviale e intemperante, di Martin Amis

Pubblicato più di un anno faEdizione del 18 giugno 2023

Incerto se considerare la finzione più strana della vita o la vita più stramba della finzione, Martin Amis intreccia provocatoriamente l’una all’altra, fino a renderle indistinguibili: uscito da noi a ridosso della morte, il suo romanzo autobiografico La storia da dentro Come scrivere (traduzione di Gaspare Bona, Einaudi, pp. 684 € 25,00) è una sequenza velatamente cronologica di squarci su pochi momenti rivelatori, dove l’asperità delle tante perdite patite addolcisce gli accenti della sua voce dissacratoria.

Alcuni motivi ricorrenti si inseguono in un gioco arioso di variazioni: Amis si sofferma ciclicamente tanto su alcune catastrofi della storia recente (l’11 settembre, il terrorismo, la seconda guerra del Golfo, l’avvento di Trump al potere) quanto su alcuni episodi personali.  Amori e amicizie vengono rivisitati alla luce deformante del tempo: il primo incontro con la magnifica (per bellezza e originalità) Phoebe, le visite all’amico e mentore Saul Bellow, la malattia e la morte della persona a lui più vicina, il saggista Christopher Hitchens, cui sono dedicate pagine struggenti, in cui Amis ricostruisce mirabilmente il loro table talk, evocando lo humour dell’amico di fronte alla malattia.

Fra i personaggi centrali nella vita dello scrittore inglese, compare fin dall’inizio del libro, imponente eppure scarnificato, il padre Kingsley, con il suo patologico dongiovannismo e un faticoso rapporto con la verità. E soprattutto affiorano altri genitori possibili, dal poeta Philip Larkin, sguarnito di coraggio salvo che nei suoi versi, a Saul Bellow, il vero padre letterario di Amis.

Viaggiando a sobbalzi verso quello che chiama «l’inferno della stupidità», lo scrittore inglese scherza con il resto del mondo e con sé stesso, sprezzante verso ogni forma di conformismo, in accordo con la tradizione inglese dell’essay ben appuntito. Ma, più nascosta, si intravede la vergogna – velata e paradossale – della vittima che, di fronte allo sgomento di una immane colpa altrui, ne sente su di sé la responsabilità. Al di là del suo apparente gioco al massacro, oltre la sua vena dissacrante, Amis vive la vergogna come una gigantesca linea d’ombra da cui tenta in ogni modo di uscire, evocando quel  limite misterioso che impedisce al protagonista del racconto di Conrad di prendere il mare aperto.

Uno dopo l’altro, tutti i personaggi si attardano su questa linea d’ombra: Amis, per primo, stretto fra l’ingombrante padre scrittore e gran seduttore, i modelli di altre ascendenze letterarie, e il confronto con diversi membri del clan degli amici scrittori, da Rushdie a McEwan, uniti dal talento per la provocazione. Di Larkin viene riesumata la vergogna di fronte al proprio padre filonazista; e l’ambiguo rapporto con il sesso, così bello che non si capisce perché lo si debba condividere, dice eloquentemente in una lettera.

Muovendosi fra il disagio che gli ispira l’America di Trump, dove tuttavia Amis si è trasferito,  al sentimento addolorato che prova nell’osservare Bellow mentre sprofonda nella demenza, al varco  dell’invecchiamento, che comporta un viaggio verso l’invisibilità agli occhi degli imperscrutabili giovani, fino al confine della morte, varcato dal fraterno amico Hitchens, lo scrittore inglese sperimenta, mascherandolo sotto un velo di sarcasmo, lo sfacelo che il tempo infligge alla bellezza e all’intelligenza, cui solo resiste la migliore letteratura.

Amis possedeva in sommo grado quello che chiama «l’orecchio della mente», ovvero il ritmo tipico della buona scrittura che scorre senza attrito, pronta a farsi sorprendere dalla vita. Tra le pagine della Storia da  dentro si diverte a mostrare il lato fittizio dell’esistenza: il suo è un «romanzo sogghignante», che mentre ribadisce il carattere adolescenziale degli scrittori, felici di prolungare questa età della vita, conferma l’affermazione di Nabokov secondo cui tutti coloro che sono dotati di una certa stoffa alla fin fine sanno risultare divertenti.

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