A inizio anno Mark Zuckerberg ha definito il 2023 «l’anno dell’efficienza». Efficienza che si è manifestata ieri con l’annuncio – atteso ormai da tempo – di altri 10.000 licenziamenti a Meta (la casa madre di Facebook, Instagram, WhatsApp): circa il 13% della forza lavoro. Dopo che un altro 13% di quelli che erano i lavoratori totali durante il picco di grandezza della compagnia l’anno scorso (87.000 dipendenti) era stato fatto fuori a novembre 2022: 11.000 persone. Con un lungo post pubblicato ieri su Facebook in pieno linguaggio da grande corporation – zeppo di riferimenti a futuro, ottimizzazione del lavoro, e espressioni come leaner is better – Zuckerberg ha comunicato che nel corso dell’anno la sua compagnia si scrollerà di dosso non solo 10.000 posti di lavoro ma altre 5.000 «posizioni aperte» che ora verranno chiuse.

ANCORA UNA VOLTA, anche nel pieno della tempesta, il focus degli investimenti dell’azienda resta il Metaverso e la divisione che se ne occupa, Reality Labs, che già nel 2021 aveva bruciato 10 miliardi di dollari ma su cui Zuckerberg non sembra intenzionato a mollare, nonostante le tecnologie per la realtà virtuale che servono a dare forma alla sua visione siano ancora inadeguate. E nonostante il fantomatico Metaverso che sponsorizza incessantemente sui feed delle sue piattaforme sia ormai una sorta di barzelletta nel mondo tech.
Molte delle “difficoltà” incontrate da Meta sono proprie della compagnia: la concorrenza travolgente di Tik Tok nel campo dei social media, il contraccolpo dei Facebook Papers, le nuove impostazioni sulla privacy di Apple che hanno diminuito la quantità di dati che si possono raccogliere sugli utenti (e usare per bersagliarli con pubblicità mirate). E non ultima l’ondata dell’intelligenza artificiale generativa che con il rilascio di Chat Gpt a fine 2022 ha travolto la Silicon Valley e la stessa Meta, che investe sulla Ai dal 2013 ma che ha dovuto ritirare nel giro di tre giorni il chatbot che aveva aperto al pubblico, Galactica, perché generava instancabilmente fatti falsi.

MA LA CRISI di Meta è naturalmente interconnessa con quella della Silicon Valley, che nel solo 2022 ha bruciato oltre 120.000 posti di lavoro, mentre il crack della Svb sta travolgendo anche e soprattutto le startup considerate il futuro del mondo tecnologico, compresa la star del momento Open Ai (che ha creato Chat Gpt e che si dice sia valutata 29 miliardi di dollari): venerdì il suo ceo Sam Altman, in un tweet, chiedeva agli investitori di mandare soldi alla compagnia – investimenti d’emergenza a fondo perduto.
Come le altre big della Silicon Valley, Meta si è risvegliata nel 2022 dalla sbronza pandemica e dopo anni di crescita all’apparenza inarrestabile ha «scoperto l’austerity», secondo una definizione del New York Times. Nel corso dell’anno appena trascorso, infatti, Amazon, Meta, Alphabet (casa madre di Google) e Microsoft hanno perso un totale di 3.900 miliardi di dollari in valutazioni sul mercato a Wall Street. A gennaio, Amazon ha annunciato il taglio di 18.000 posti di lavoro, dopo averne già eliminati 10.000 lo scorso novembre. Il mese scorso, Google ha registrato il secondo calo – da quando esiste – negli incassi generati dalle inserzioni pubblicitarie.

Nel suo post su Facebook, Zuckerberg parla di tagli funzionali, razionalizzazione delle cariche lavorative nell’azienda, chiusura dei progetti di minor rilievo, valorizzazione del ruolo degli ingegneri. E ironicamente, mentre da un lato auspica di offrire presto agli utenti esperienze virtuali paragonabili a quelle che nascono dalla vicinanza umana, dall’altro spiega ai suoi dipendenti che tornare al lavoro in sede è fondamentale per «costruire fiducia» e «relazioni» interpersonali.

GIRI DI PAROLE che non rendono meno incontrovertibile l’esplosione della bolla tecnologica sintetizzata da Will Gottsegen sull’Atlantic: «È possibile che la Silicon Valley veda ancora se stessa come l’espressione definitiva del business americano, una fabbrica di innovazione nel mondo che cambia. Ma nel 2023, assomiglia sempre più a un castello di carte».