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Mark Cousins: «Il fascismo non è una linea retta, ma un ciclo ricorrente»

Mark Cousins: «Il fascismo non è una linea retta, ma un ciclo ricorrente»Mark Cousins

Venezia 79 Incontro con il regista di «Marcia su Roma», una riflessione sul fascismo presentata come evento speciale di apertura alle Giornate degli autori

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 1 settembre 2022

Per inaugurare la sezione Giornate degli autori si parte da un instant movie. Con molti riferimenti contemporanei, ma girato nel 1922, si tratta di A noi realizzato da Umberto Paradisi, per raccontare apologeticamente la Marcia su Roma. E da lì, dopo una premessa trumpiana, parte Mark Cousins per la sua versione nel centenario della Marcia su Roma, prendendo le mosse da quel vecchio filmato, depositato al Luce, antesignano di fake news, manipolazioni, falsificazioni grossolane ma comunque efficaci. Cousins, tantissimi lavori alle spalle, ha detto «non mi era mai capitato di piangere in sala di montaggio, ma questa volta i materiali erano tremendi».

Non mi era mai capitato di piangere in sala di montaggio, ma questa volta i materiali erano tremendi. Ho inserito la fiction per avere primi piani, persone da guardare negli occhiMark Cousins
Lui che dieci anni fa ha confezionato una travolgente storia del film in oltre 14 ore, inizia con piglio filologico. Eccolo quindi smontare il lavoro apologetico di Paradisi fotogramma dopo fotogramma, in modo che potrebbe apparire pedante, in realtà è solo puntuale. E sin qui tutto molto bene. Solo che procedendo con il racconto si perde un po’ il filo con salti indietro, salti in avanti che non aiutano non tanto a ricostruire la storia del fascismo, non era poi questo l’obiettivo, ma addirittura contribuiscono a smarrire un po’ il senso complessivo.

CERTO, D’Annunzio, la massoneria, l’altare della patria, gli omicidi politici, l’aula sorda e grigia, le guerre, l’ostentazione, il machismo, l’amicizia con Hitler, prima allievo poi capo, tutto vorrebbe portare al fascismo come un virus che continua a sopravvivere, sottotraccia ma sempre pronto a riemergere: «Il fascismo – sottolinea Cousins – non è una linea retta, è un ciclo ricorrente, vedi il Brasile e forse anche la Cina» senza trascurare Spagna, Portogallo, Grecia e tanti altri. Non solo in Italia quindi con i suoi Fratelli, intesi come quelli del codice Rocco, pronti adire «no a LGBT e sì alla croce, un po’ come avveniva ai tempi delle Crociate», ricorda il regista. Si arriva anche a sussultare quando il documentario sembra quasi suggerire che si debbano distruggere le vestigia architettoniche del fascismo, quartiere Eur compreso. In realtà non è così: «Credo che nulla debba essere cancellato, non bisogna distruggere, bisogna mettere nei musei» per studiare e approfondire. Nel filmato appare anche Alba Rohrwacher nei panni dolenti di una donna e madre simpatizzante del fascismo della prima ora poi progressivamente sempre più delusa nelle sue pur semplici aspettative. Un’incursione nella fiction, Cousins puntualizza: «Avevo solo immagini di sfondo, volevo anche dei primi piani, persone che si possano guardare negli occhi».

MA NELL’INTENTO di scovare le tracce del fascismo nato in Italia e poi diffusosi nel mondo, si allarga troppo il campo di indagine, si smarriscono anche tratti rilevanti come le leggi razziali, le deportazioni e la complicità della Repubblica Sociale. Alla fine, resta una riflessione, amara, su di un fenomeno che sotto questi cieli è nato, poi si è diffuso avvelenando una buona parte di mondo e tragicamente continua a farlo, con la retorica, la meschinità, il disprezzo nei confronti degli altri, che diventa razzismo (basta rivedersi tutta la politica e le guerre coloniali), la difesa dei privilegi, l’iconografia. Bene ha fatto Cousins, mentre A noi pontificava sui fascisti a Napoli nell’ottobre 1922, a inserire i filmati coevi di Elvira Notari per mostrare un approccio completamente diverso nei confronti delle persone. E questo potrebbe valere ancora oggi quando non ci sono balconi dai quali pontificare con grande eloquenza e potenza oratoria, ma tutto è ancora più subdolo con i social usati per il solito sporco lavoro. Perché come dice Cousins «il cinema mente», ma la rete può amplificare le menzogne e il falso, facendo apparire tutto come incontrovertibile. E spingere, quasi cento anni dopo, a un’altra marcia sul Campidoglio, non più quello di Roma, ma quello di Washington.

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